Messina – "Una grande lezione di Umanità" – « Jean Léonard Touadì »

Il 4 giugno nel salone intitolato a “Monsignor Fasola”  si è svolto il V° incontro del Progetto Baobab. “Viaggi lenti e storie fragili”

La semplice e pregevole presentazione di ‘Michele,  ha illustrato, la genesi e lo sviluppo del Progetto Baobab, aiutata in ciò da suggestive immagini dei “Campi di conoscenza” effettuati in Eritrea. Un modo nuovo di pensare ai Progetti di Cooperazione. Impegnati l’A.G.E.S.C.I., la Caritas Diocesana e new entry anymore.

Al direttore della Caritas sac. Gaetano Tripodo il compito di introdurre l’Ospite e il giovane incaricato di fare le domande sul palco.

La signorilità dei modi e dell’eloquio, non hanno impedito all’ONOREVOLE Jan Léonard Tuarì di sferrare, con grande sofferenza, un vibrato attacco, ammorbidito da un cogente appello, sulla scelta di campo dei Cristiani, della Chiesa (gerarchia) e delle istituzioni preposte all’accoglienza degli immigrati. Un dato allucinante più di 8.000 i morti nel canale di Sicilia e la maggior parte proveniva e proviene proprio dall’Eritrea dilaniata da scontri interni per la libertà. Si chiedeva come mai durante il Sinodo Africano svoltosi recentemente  a Roma nessuna delegazione, neppure un Vescovo abbia sentito l’urgenza di dare una testimonianza recandosi all’isola di Lampedusa . (A tal proposito, al termine dell’incontro ho raccontato l’impegno dell’attuale Arcivescovo di Agrigento Don Franco Montenegro, che in un recentissimo incontro svoltosi a Messina ne ha esplicitato la portata epocale e la miserevole risposta di ‘noi cristiani.)

Ho scritto ONOREVOLE per intero perchè penso che sia un appellativo meritato. Egli si racconta con umiltà e fierezza, con dolcezza e fermezza. E’ un fanciullo che nasce in faccia al più bel fiume del Mondo, il fiume Congo (4800 Km), che tra le rive raggiunge, anche una distanza  di 3 Km. Il placido, ma implacabile, scorrere delle acque del fiume, rimane nel suo  parlato, nella sua grinta che lo hanno portato a ricoprire i ruoli di Professore di Università, di Assessore alle politiche giovanili del comune di Roma e attualmente a deputato del parlamento Italiano. Bella l’immagine della signora che non trova l’Insegnante di suo figlio. Entrata nell’aula indicatele dal ‘Bidello aveva visto seduto in un minuscolo banco un uomo di colore, per cui aveva richiuso la porta dell’aula 14. Poi successivamente ha spiegato al professore che il figlio gli aveva parlato di un insegnante ‘straniero, ma nulla aveva detto sul colore della pelle. Abbiamo molto da imparare dai giovani. siamo noi adulti ad aver bisogno del loro aiuto!

Come chicca finale, oltre alle risposte date ai tanti validi interlocutori. Vi propongo il Breve Filmato sul racconto della personale esperienza di attuazione di Jan Léopold Touadì  del  suo

         CODICE UBUNTO 

– prendiamo nota come è possibile cambiare noi stessi ed il mondo – Nelson Mandela –

UBUNTU – Frammenti :

Il capo villaggio non può vedere il fantasma, non può gridare al lupo, altrimenti se il capo parla a vanvera senza dare soluzioni gli altri cosa faranno. Questo concetto me lo tengo dentro. Il suo gridare al fantasma è evitare di dare una risposta. La vìta non mi ha risparmiato i dolori della famiglia, con i figli il mio compito non è di gridare al fantasma anche come responsabile di una famiglia, come responsabile di una città come sono stato a Roma…

Ma il capo villaggio può gridare al fantasma solo quando ha individuato l’antidoto.

Il suo gridare al fantasma è evitare di dare una risposta. Questo è il primo pilastro dell’Ubuntu.

Il secondo pilastro dell’UBUNTU

«La sacralità della Parola»

L’uomo che è destinato a diventare un responsabile, un capotribù non parla a vanvera, non dà fiato in libertà e siccome sono culture senza scritture da valore l’unica cosa che permette alla convivenza non c’è contratto, non c’è pegno, l’unico collante è la sacralità della parola e quella parola ha una sua identità e l’uomo che non ha rispetto della sua parola non ha rispetto di se stesso.

Mia moglie è italiana ed è abituata alla velocità della parola. E mi chiede: perché non reagisci io dico che posso reagire anche dopo due giorni a condizione che la mia reazione abbia un senso, quindi. È fatta anche di questo la sacralità della parola come pegno come autenticità.

Il terzo pilastro è « io sono perchè voi siete » perché voi siete non è la somma non è la semplice somma delle individualità ma grazie questa Mandela è riuscito a portare un popolo che era sull’orlo della guerra civile a questa straordinaria di questo miracolo incredibile che l’esperienza della riconciliazione in Sudafrica.

Sì lui MANDELA ha capito che non doveva deludere i suoi neri ma soprattutto non doveva spaventare i bianchi. La libertà degli uni doveva coincidere con la Libertà degli altri.

Questa parola è liberatrice. Attenzione –  non riconciliazione e verità – ma verità e riconciliazione-  dove nella verità c’è la sacralità della parola allora secondo me per ritrovare lentezza bisogna declinare i rapporti in modo diverso.  Dobbiamo ritrovare la sincerità della parola. Per poter parlare bisogna guardarsi in faccia. Bisogna prendere il tempo di dire le cose è questo tempo l’abbiamo smarrito…

Questo terzo pilastro della parola io sono perché voi siete è la consapevolezza di una circolarità relazionale all’interno di una comunità e questo io sono perchè voi siete è perchè la comunità non è la somma delle individualità.

Grazie a questa intuizione Mandela è riuscito a portare un popolo che era sull’orlo di una guerra civile a questo straordinario miracolo incredibile che la resistenza della verità della riconciliazione lui ha capito che non doveva deludere i neri ma soprattutto Mandela ha capito che non doveva spaventare bianchi.  Ha detto di una libertà dei neri se non avesse toccato la libertà dei bianchi. Nel momento in cui il poliziotto sudafricano racconta quello che ha fatto durante l’Aparthaid, diventa una parola di riconciliazione; di  verità e riconciliazione. Nella centralità della parola c’è la sua libertà e se si è liberi per potersi parlare, bisogna guardarsi in faccia ed è questo abbiamo smarrito e non chiedersi mai inutilmente perché mi sorride. Perché un sorridere è  il saluto dell’anima.

 

 

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