Giancarlo Caselli
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo
Io voglio innanzitutto ringraziare Sua Eminenza il Card. Pappalardo e tutti gli organizzatori di questo convegno, per avere voluto invitare me. L’ho già detto in altre occasioni, sono convinto che prima ancora che la mia individuale persona, l’invito riguardi la funzione che io svolgo. L’invito sia testimonianza, attestazione di interessi, di attenzione, di solidarietà e di vicinanza nei confronti della Magistratura che in Sicilia ora bene, ora male, ora tanto, ora poco, cerca a volte riuscendovi, a volte un pò di meno, ma sempre sostanzialmente, con grande impegno, cerca di svolgere il servizio a cui è istituzionalmente chiamata.
E questo poter parlare in questo contesto, che spaventa un pò, è motivo di particolare onore individuale e motivo di speciale ringraziamento a tutti, per quanto la mia personale figura trascende.
Nello stesso tempo sono costretto a chiedere subito l’assoluzione, se la parola non è fuori luogo, in particolare al Card. Pappalardo, perché temo di andare un pò fuori tema.
Io ho preparato l’intervento non tanto da magistrato, non tanto da operatore del diritto, non tanto per parlare di mafia – cosa è la mafia o come si articola questa organizzazione criminosa, così pericolosa, efficiente, potente e feroce. Ho pensato, e se ho sbagliato chiedo l’assoluzione, di parlare soprattutto da cristiano che trovandosi ad operare nel settore del diritto, fa delle riflessioni su quel che può dare, deve cercare di dare la Chiesa, su quel che ha dato, o magari qualche volta non ha dato, si trova obbligatoriamente a fare delle riflessioni e ritiene che possa essere, con tutta la modestia che è necessaria, trattando questi temi, in questa sede, utile esprimere queste riflessioni ad alta voce.
Allora ci provo.
Io credo che per venire a capo del fenomeno mafioso, in modo molto schematizzato, sia necessario operare principalmente su tre piani:
1. c’è un piano di potenziamento della risposta tecnica degli apparati investigativi e giudiziari dello Stato, di potenziamento e di affinamento di questa risposta, ed è il piano su cui forse si pensava che io avrei dovuto maggiormente soffermarmi e che invece enuncio soltanto;
2. c’è il piano della necessità, dell’esigenza di rendere la gente consapevole della realtà del fenomeno mafia. Consapevole delle sue conseguenze sul piano politico sociale, dei suoi effetti sulle regole di convivenza, sulle libertà, sui diritti, sulla democrazia;
3. e poi c’è il piano della necessità di aggredire, non soltanto le manifestazioni criminali: estorsioni, omicidi, traffico di stupefacenti, appalti truccati e quant’altro…
Ma anche le cause del fenomeno, le radici del fenomeno, gli spazi, le condizioni che ne favoriscono l’azione pervasiva.
Su questi due versanti: rendere la gente consapevole della realtà della mafia, aggredire non soltanto le manifestazioni, ma le cause, le radici della mafia, l’azione della Chiesa a mio giudizio è decisiva, e assolutamente insostituibile. È presuntuoso anche per un giudice, e loro lo sanno quanto i giudici siano presuntuosi, lo dico principalmente, è per me, presuntuoso pensare di avere qualche cosa da dire in questo convegno, qualche cosa da dire alla Chiesa, direttamente ai suoi più autorevoli prestigiosi e validi rappresentanti. Anche un giudice deve avere la coscienza dei suoi limiti. Anche un giudice deve essere umile. Io posso soltanto provare a porre, a pormi delle domande, ma quanto meno, sapendo come laici e come cristiani che avere il coraggio delle domande, spregiudicate, se è necessario, significa che ciò che attendiamo, potrà più facilmente avvenire.
E allora prima di tutto mi domando se non sia necessario, innanzitutto, studiare e capire quel che è successo fino ad oggi. Non tanto per cercare colpevoli, non tanto per difendersi da eventuali accuse, attacchi, addebiti, osservazioni, ricriminazioni, o critiche, ma soprattutto per analizzare perche una parte della società civile e una parte della Chiesa per molto tempo hanno sottovalutato il fenomeno della mafia, perchè per molto tempo hanno potuto conviverci. Perché, per quanto riguarda la Chiesa, questa convivenza ha finito per rendere debole la risposta profetica, per poi mancare, in alcuni momenti, una reale opposizione. Perchè tanta giusta, sacrosanta, non si discute, severità, verso le ideologie totalitarie, invece non altrettanta severità, e anzi, qualche volta, una certa tolleranza verso la ‘sacralità atea’ della mafia?
Dove le radici di questi ritardi, di queste incomprensioni, di questi errori?
Qui davvero mi sporgo troppo, perche non è il mio campo, ma ho, quanto meno, l’attenuante che sono riflessioni che nascono da chiacchere, da colloqui, da confronti con qualche prete amico. L’impressione che ne ho tratto è che, qualche volta, da alcuni seminari si esce sapendo un po’ di Teologia, ma molto meno della vita sociale concreta: mafia, studi sociali fino alla storia della criminalità, attenzione ai problemi quotidiani, politiche giovanili in testa poco si conoscono, poco si studiano, non si avvicinano forse a sufficienza. E allora ecco che poi, nell’esercizio del ministero quotidiano, il disimpegno può essere, per questo tipo di formazione, se non favorito, quanto meno certamente non sufficientemente contrastato.
Allora occorre studiare e capire, per evitare gli errori, se errori ci sono stati, ma anche e soprattutto per articolare nuove significative presenze in prospettiva di ampio respiro.
Presenze significative
La prima significativa presenza è quella che si concreta nell’esercizio sistematico della denuncia. Una denuncia ferma, autorevole, chiara, puntuale della mafia, della sua realtà, delle sue implicazioni, dei suoi pericoli per tutti, non soltanto per le vittime potenziali, ma per la gente tutta, per le regole di convivenza, per la democrazia, per il regolare funzionamento dell’economia, della politica, di quanto altro deve, con tutti i rischi di errore che il regolare funzionamento comporta, deve funzionare però regolarmente, trasparentemente, con la partecipazione autentica di tutti e non con il ricatto, non con il sommerso, non con la prevaricazione e la violenza.
Denunziare e sostenere chi vive la denunzia, renderla possibile, ordinaria, normale, non lasciare soli, ma accompagnare, nella Chiesa e fuori, tutti quelli che rendono questo servizio di denunzia.
– Presenza significativa vuol poi dire ricerca concreta, convinta, costante di una società più giusta, più umana, più equa nella distribuzione dei beni.
Denuncia e prassi, per tutti, ma soprattutto per i cristiani, debbono andare nella stessa direzione.
Invece se si denuncia l’immoralità e il clientelismo, ma al tempostesso si usa come chiunque altro, tutto ciò, significa aiutare la mafia.
Lamentare, criticare, stigmatizzare la crisi della legalità per poi educare e magari praticare l’indifferenza e il privatismo è di nuovo aiutare la mafia, perche significa perpetuare i guasti del sistema. Quando la mafia non è soltanto frutto di cattivo funzionamento del mercato, mafia è segno visibile che tutto il sistema, appunto, è malato. E la malattia o si combatte, o si sfrutta. Sfruttandola, certamente non la si guarisce. E se la malattia è in qualche cosa con la quale la mafia si struttura, non combattendola efficacemente quanto si può e si deve, si finisce per consolidare, per aiutare la mafia.
– Presenza significativa significa anche capacità di progettare, non inseguire affannosamente, faticosamente le emergenze, non rispondere soprattutto con l’ansia e con l’ emotività. Costruire la casa sulla roccia vuol dire progettare, vuol dire impregnare di razionalità il nostro agire, vuoI dire procedere con lungimiranza, essere capaci di profezia, vuol dire rileggere l’oggi perche il domani sia migliore.
Nessun’altra istituzione, più e meglio della Chiesa, può realizzare una presenza significativa con un progetto di questo tipo che sia di costruzione, appunto, della casa sulla roccia.
Ma progettare ha un senso, può conseguire risultati forti, positivi, duraturi, secondo me, soltanto se è progettare insieme.
La Chiesa è un punto fondamentale per il cristiano. È il punto portante, la pietra angolare di una rete complessiva, ma non è tutta la rete. Sarebbe indebolimento della propria missione pretendere, cercare di essere tutta la rete.
Bisogna collaborare nella ricerca del bene comune, dell’ autenticamente umano, se questo è dovere di tutti i cristiani e non cristiani.
Le idee possono, devono, sono diverse ma al banco di prova comune, quali che siano le idee, è sempre, non può che essere, l’uomo, la dignità e la giustizia di ogni persona. Se ci si ritrova su comuni valori su questo banco di prova, allora davvero la programmazione, la progettazione insieme è possibile ed è rafforzamento reciproco.
Questo è un momento storico particolarmente difficile, sul piano locale come sul piano nazionale e internazionale. Particolarmente difficile, in Sicilia, per i problemi che in Sicilia specialmente, l’offensiva mafiosa, che ce.ttamente non è finita, pone quotidianamente, ancora strategicamente.
In un momento storico così difficile, il dialogo, il pluralismo, ferme le differenze tra forze, purché tutte ugualmente sane, il dialogo e il pluralismo sono valori se non da riscoprire, quanto meno da praticare intensamente. Consentite a un torinese diventato palermitano di ricordare il Cardinale Pellegrino: la logica del “camminare insieme” , del pluralismo reale, delle alleanze, contro ogni settorialismo o campanilismo, questa logica, è la logica, a mio avviso, ancora oggi vincente, ancora oggi la logica da perseguire perché giusta. Costruire queste alleanze, pensare a percorsi, strategie, che vedono la Chiesa insieme agli altri punti della rete, ferma la posizione centrale, la posizione cardine della Chiesa, è assolutamente necessario, proprio perché cardine, proprio perché perno.
La Chiesa ha poi una speciale responsabilità di camminare insieme alle altre forze sane del paese, quando la minaccia della mafia, della criminalità mafiosa è minaccia per tutti indistintamente.
Ecco allora che comitati di quartiere, scuole, fabbriche là dove ci sono, parrocchie, preti, operatori sociali, soltanto se insieme, possono promuovere liberazione, soltanto se insieme, possono respingere l’arroganza mafiosa, anche perche giudici e leggi da soli non bastono, da soli non servono, se la società civile tutta quanta insieme, la Chiesa compresa, la Chiesa trainante, non lavora per l’uomo.
Presenza significativa significa poi coraggio. Coraggio di autocritica, quando è necessario, per il passato. Coraggio di rinnovare, di permeare di audacia un agire, quando questo agire sia vecchio o troppo timoroso, o troppo preoccupato di uscire dal perimetro della sacrestia. Senza coraggio è difficile che ci sia freschezza del Vangelo, e senza freschezza di Vangelo c’è poca speranza di slegare bende e bavagli che per troppo tempo hanno reso forti i mafiosi, imprigionando i poveri e mortificando i valori.
Qui scusatemi davvero, la professione di umiltà iniziale è completamente accantonata e travolta, ma consentitemi di dire o quanto meno di proporre alla riflessione comune che l’identificazione esclusiva del cristiano nella prassi liturgico-sacramentale non va in questo senso.
C’è un popolo, il popolo siciliano costretto a subire infamie tremende. La criminalità organizzata causa a questo popolo un turbamento doloroso, profondo.
Occorre uno scatto di responsabilità di tutti. La Chiesa per prima, la Chiesa trainante. Per la Chiesa, per i cristiani più che uno scatto di responsabilità è uno scatto d’anima.
Dopo ritardi, silenzi, paure, collusioni, una nuova coscienza comincia a nascere, a delinearsi di fronte alla mafia, in particolare tra i cristiani. Cosa fare perche questo barlume della coscienza non si spenga, non si affievolisca, anzi si rafforzi, si consolidi, si espanda, diventi una conquista irreversibile?
Io credo, e con queste considerazioni vorrei concludere, che dobbiamo guardare, tra le tante cose che si possono fare, dobbiamo guardare ai morti. A coloro che hanno perduto la vita per questo paese, per questa Sicilia. Come segno e testimonianza della loro fede, laica o religiosa che fosse.
L’elenco dei morti fino a Falcone, Borsellino, Don Puglisi è lunghissimo. Fare questo un elenco nelle cerimonie pubbliche può diventare un inganno, come metterci al riparo delle nostre passate responsabilità. Falcone, Borsellino e Don Puglisi, se han dovuto morire, è anche perchè lo Stato, anche noi, noi cristiani, noi Chiesa, non siamo stati fino in fondo quello che avremmo dovuto essere: Stato, cristiani, Chiesa!
Se Falcone, Borsellino, Don Puglisi sono morti è perche noi tutti non siamo stati vivi, non abbiamo vigilato, non ci siamo sufficientemente scandalizzati dell’ingiustizia, quanto meno, non abbastanza, non lo abbiamo fatto nella professione, nella vita civile, nella vita politica, e, in alcuni momenti, neppure in quella religiosa.
Dunque i morti e noi, noi che siamo rimasti vivi: Falcone, Borsellino, Don Puglisi e noi. Sono questi morti per noi segno di riscatto civile, morale, religioso, ma sono anche una condanna. Essi non hanno visto nel loro tempo quello in cui speravano, ma hanno visto il loro prossimo, l’hanno visto nella sopraffazione, nella ricchezza facile e ingiusta, nell’illegalità, nella compravendita della democrazia, nello scialo di morte e violenza, nel mercato delle istituzioni, nei bambini, nei giovani abbandonati per strada; hanno visto in tutte queste cose il loro prossimo e hanno reso il loro servizio per il prossimo che hanno visto in tutte queste cose.
Questo hanno visto coloro che sono morti. Per questo sono morti. E noi quante volte, invece di vedere il nostro prossimo, ci siamo accontentati di ipocrisia civile, o di devozionalismo religioso, quante volte abbiamo subito, invece di spezzarlo, il gioco delle mediazioni o degli accomodamenti, magari a fine di bene o di quieto vivere.
Di tutto questo a coloro che sono morti: a Falcone, Borsellino, Don Puglisi, agli ultimi degli interminabili elenchi di morti, noi dovremmo chiedere perdono perchè tutto questo finisca, perchè tutto questo non si ripeta.
Alla fine Tutta l’Assemblea si è alzata in piedi sottolineando con un crescente applauso la Profezia di questo autentico Cristiano.