Gazzetta del Sud – Martedì 18 APRILE 2006 – di Antonio Condò
IL PRESULE REPLICA IN PRIMA PERSONA ALLE INDISCREZIONI SU UN SUO PROSSIMO TRASFERIMENTO
«Le voci su di me?Vogliono infangare le mie cooperative…»
GERACE – Il gruppo facente capo all’Associazione Italo-Ungherese, che ha scelto la città di Gerace quale tappa annuale delle sue visite, ha un gran desiderio di sentir parlare il vescovo mons. Giancarlo Maria Bregantini. Medici, biologi, ingegneri, chimici e docenti universitari lo conoscono attraverso i mezzi di comunicazione, carta stampata e televisione, ma sabato, giorno di Pasqua, non si sono lasciata sfuggire l’occasione.
Mentre il presule li accompagna nella visita alla Cattedrale, la domanda arriva quasi a bruciapelo «Ma è vero che va via da questa terra? Che lascia questa Diocesi?».
Padre Giancarlo è sereno; la notte tra sabato e domenica ha presieduto la messa di Pasqua nella vicina Locri; una funzione lunghissima, conclusasi alle tre del mattino e durante la quale ha battezzato non solo alcuni bambini, ma anche una ragazza albanese di 19 anni che ha «percorso cammino di fede nella comunità della vicina frazione Moschetta».
La serenità del vescovo dipende forse, anche da questo, dai “frutti” che riesce a raccogliere, insieme con tutti i presbiteri, i religiosi e quanti lo affiancano, dopo aver coltivato il “terreno” cui ha seminato.
Lui, che qualche giorno prima aveva preferito non replicare alle voci circolanti in merito ad un suo prossimo trasferimento a Lecce, si abbandona, invece, ad un cordiale dIalogo con glI ex studenti italo-ungheresi.
«Non c’è nulla di vero nella notizia del trasferimento», risponde testualmente, con voce; decisa non senza aver fatto precedere la frase da un altrettanto deciso “No” accompagnato da un sorriso liberatorio, appena accennato tra la la barba imbiancata forse più le preoccupazioni e per il peso delle responsabilità che per l’età.
«In tutto questo – aggiunge il vescovo – c’è solo una strategia destabilizzante; si vuole indebolire, infangare l’attività della Cooperativa “Valle del Bonamico”; io per ora resto qui, in questa terra che da sempre definisco un giardino da coltivare e da far fiorire,
Gli ospiti chiedono poi al presule un suo pensiero sulla mafia, su come combatterla, sulle attività illecite della ndrangheta e sui suoi “investimenti” all’estero. Bregantini risponde parlando di «dimensione antropologica del problema»; ricorda la reazione dei giovani dellà Locride dopo il terribile omicidio del vicepresidente del Consiglio Regionale Franco Fortugno, ed evidenzia che la «mafia si combatte anche non mitizzando i suoi esponenti».
Il presule ritiene che il lavoro sinergico tra investigatori, magistratura, forze dell’ordine è indispensabile per sconfiggere la criminalità ma «bisogna -dice- operare a livello culturale, per educare soprattutto i giovani a guardare verso l’alto.
Ad essi, conclude, vanno inculcati ideali, vanno forniti esempi, va data quella fiducia di cui hanno bisogno».
Isolare il male, questo il messaggio di mons. Bregantini, perchè – aggiunge parafrasando Giovanni Falcone – «essendo la mafia un fenomeno umano è lo stesso uomo che deve debellarlo». (a.c.)
di Antonio Condò
Gazzetta del Sud Martedì 18 APRILE 2006