Gazzetta del Sud – Martedì 18 APRILE 2006 – di Antonio Condò
La Pasqua speciale dell’Associazione ltalo-Ungherese, nata dai profughi della rivolta anti Urss del 1956
A Gerace i “ribelli” di Budapest
Accolti da una guida d’eccezione: il vescovo Bregantinì
Antonio Condò
GERACE – Oggi hanno un’età compresa tra i 68 e i 72 anni, sono tutti affermati professionisti: molti di loro sono docenti universitari presso varie facoltà: Medicina, Architettura, Ingegneria, Biologia, Chimica. Provengono da Padova, da Vicenza e da Treviso ed insieme (con loro vi è un gruppo di professionisti e di cattedratici provenienti dall’Ungheria. Tuttl insieme hanno dato vita all’Associazione Italo-Ungherese, un gruppo che da cinquant’anni, ogni anno, nel periodo pasquale, si ricompone per trascorrere un’intera settimana in una regione o località italiana. Ieri l’altro, giorno di Pasqua, si sono ritrovati a Gerace, città d’arte in cui li attendevano il vescovo della Diocesi, mons. Giancarlo Maria Bregantini, il canonico don Giuseppe Barbaro e il direttore del Museo diocesano, Giacomo Oliva.
Per capire scopi, significato ed attività dell’associazione, ma soprattutto la storia di alcuni componenti del sodalizio (in questo caso degli ungheresi), bisogna fare un salto indietro nel tempo, e tornare all’autunno del 1956; giusto cinquant’anni fa. È il 23 ottobre del 1956 quando le vicende della Polonia, dove gli operai hanno dato vita a una rivolta antisovietica, fanno da detonatore anche in Ungheria, dove gli studenti si schierano apertamente col democratico Imre Nagye contro il filosovietico (e stalinista) Matyas Rakosi. I giovani chiedono libere elezioni e la democratizzazione della vita sociale, ma dopo il rifiuto giunto attraverso la radio di stato, la folla insorge e abbatte le statue del potere, iniziando da quella di Stalin. Qualche giorno dopo, a Budapest entrano i primi carri armati sovietici cui viene contrapposta un’accanita resistenza. Nagy avvia febbrili consultazioni per cercare di fermare il massacro: circa 1.500 morti e oltre 6.000 feriti. All’alba del 27 ottobre, gruppi di operai armati occupano le fabbriche del Paese. Le piazze della capitale sono presidiate dai carri armati russi, Nagy parla alla radio e spiega che gli insorti non sono fascisti come insinuano i sovietici – ma comunisti che si battono per il loro Paese.
Convinto con l’inganno, annuncia pure l’imminente ritiro delle truppe sovietiche le quali, invece, la mattina del 4 novembre con cinquemila carri armati invadono il paese e lo occupano in poche ore; si parla di circa. 25 mila caduti tra gli ungheresi.
Molti giovani, ricercati e già condannati a morte per la loro decisa opposizione al sovietici, trovano rifugio in Italia, nel Veneto. Diciannove di loro vengono accolti dall’università di Padova e, con essa, dagli studenti che la frequentano. Non hanno nulla con se, ne documenti ne “identità” ma vengono ugualmente iscritti alle varie facoltà dell’ateneo, che frequentano con estremo profitto. Apprendono subito la lingua italiana, seguono le lezioni, si presentano a tutti gli esami, che superano brillantemente, si laureano e diventano eccellenti professionisti, anche accademici- La loro riconoscenza verso l’università che li ha ospitati e fatti studiare, e soprattutto verso gli studenti italiani che li hanno aiutati, è infInita; così come è infInito, smisurato l’affetto che i giovani veneti serbano per quelli che ormai considerano un “pezzo” della loro stessa vita.
«E vero -.dice uno di loro, un medico – loro ci sono riconoscenti per quel che abbiamo fatto, ma anche noi italiani dobbiamo qualcosa a loro, perchè ci hanno insegnato a resistere, a combattere per la dignità, per la libertà dell’uomo». Decidono quindi di non perdersi più di vista, di non lasciarsi mai, di continuare a frequentarsi: danno così vita all’ Associazione ltalo-Ungherese che da dieci lustri costituisce il loro collante.
Per questa Pasqua 2006 hanno scelto, dopo tante mete internazionali (una delle ultime, in ordine di tempo, è stata la Terra Santa) di fare tappa in Calabria per ritrovarsi, nel giorno della Resurrezione, nel più grande tempio antico del Meridione: la Cattedrale di Gerace (due giorni prima erano stati a Vibo Valentia, la prima città italiana ad avere intitolato una piazza ai “Martiri d’Ungheria”, dove avevano incontrato anche il sen Antonino Murmura, cinquant’anni… addietro principale artefice del deliberato del Comune calabrese).
A Gerace, dopo avere assistito alla concelebrazione della Messa pasquale, presieduta dal vescovo Bregantini, gli ospiti sono stati ricevuti dal presule il quale, insieme col direttore del Museo, Oliva, ha fatto da inusuale “cicerone”.
Mons. Giancarlo è molto conosciuto e stimato in tutt’Italia ed anche all’estero; non si è ancora spenta l’eco dei recenti atti intimidatori ai danni delle Cooperative della Valle del Bonamico, da lui volute dieci anni addietro per fronteggiare la disoccupazione, una piaga da sempre considerata terreno fertile su cui la criminalità può trovare la manovalanza di cui servirsi per per i suoi delitti.
Al vescovo proveniente dalla Val di Non, l’ungherese Lojos Okolicsanjr, docente di gastroenterologia all’Università di Padova, consegna una busta contenente un’offerta a favore delle Cooperative. «Vada avanti, eccellenza – è l’invito quasi corale del gruppo italo-ungherese -vada avanti sulla sua strada, siamo solidali con lei, la seguiamo sempre)}.
Nella Cripta della Cattedrale, gli ospiti non resistono alla tentazione di dialogare col vescovo sulle problematiche della Locride; un dialogo che in breve si trasforma in una vera e propria “intervista”: la ndrangheta, gli interessi economici ch’essa gestisce sul territorio, il lavoro che non c’è, le possibili soluzioni. C’è poi, prima della conclusione; la domanda che qualche giorno prima di Pasqua tutti si sono posti, che avrebbero voluto porre al diretto interessato dopo alcune voci incontrollate che hanno fatto il – giro d’Italia: «Ma lei, eccellenza, veramente lascerà questa Diocesi? Veramente abbandonerà questa terra per la quale ha fatto tanto e che tanto ancora ha bisogno di lei?». Un sorriso, sotto quella barba quasi tutta bianca malgrado ancora la giovane età, accompagna un fermo e deciso “no”, prima d’una foto ricordo col gruppo italo-ungherese, un’istantanea scattata davanti alle due absidi della Cattedrale ed all’arco dei vescovi, sotto la cui meridiana campeggiano, da 12 anni, simbolo e motto di Bregantini.
Foto dI gruppo col vescovo Bregantinl In piazza TrIbuna, a Gerace
Il vescovo durante la processIone, con don Giuseppe Barbaro e Il sIndaco Salvatore Galluzzo
~A noi
italiani hanno
insegnato
a non piegare
la testa,
a resistere,
a combattere
per la dignità e per la libertà
dell’uomo…~
di Antonio Condò
Gazzetta del Sud Martedì 18 APRILE 2006