Messina – «Attualità della Nota Pastorale della Chiesa messinese del 1985» – «Perché ancora oggi si ripresentano i suoi perniciosi scenari ?»

Mons. Ignazio Cannavò Arcivescovo di Messina Lipari Santa Lucia del Mela

La NOTA PASTORALE dell’Arcivescovo Ignazio Cannavò

CHIESA e CITTA’

nel segno della riconciliazione

Presentazione

Il tema della Riconciliazione è stato in questanno al centro della riflessione delle Chiese di Sicilia, che hanno celebrato un Convegno ad Acireale dal 23 Febbraio al 1 Marzo suUna presenza per servire“, e di tutte le Chiese d’Italia che si sono confrontate a Loreto dal 9 al 13 Aprile su “Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini“. La Chiesa messinese vi ha partecipato con suoi rappresentanti dopo essersi preparata con un Convegno diocesano celebrato il 3 gennaio in Messina e con incontri nelle varie zone della Diocesi.

Come contributo di studio e di riflessione, anche in vista di un impegno pastorale che dovrà coinvolgere la nostra chiesa locale, un gruppo di lavoro, composto da laici e preti, ha preparato questo documento su “Chiesa e Città nel segno della riconciliazione”.

Dopo averlo attentamente esaminato, ritengo di poterlo fare “mio” e offrirlo come “Nota pastorale” alla meditazione della Comunità ecclesiale messinese, nella speranza che essa aiuti i singoli cristiani e la stessa Comunità a prendere coscienza del loro compito nel mondo in cui la Chiesa è inserita, e quindi del rinnovamento che prima ancora deve realizzare al suo interno per diventare veramente strumento di riconciliazione per il mondo.

Se si parla di “riconciliazione” è perché talvolta si nota, se non proprio una rottura, una scarsa convergenza della Chiesa e della Città nell’interesse per l’uomo, per il quale l’una e l’altra devono operare pur nella distinzione dei compiti; o almeno una insufficiente presenza dei cristiani e della Comunità cristiana nella Città. La loro presenza è spesso limitata all’offerta di un servizio dell’annuncio della parola di Dio ma scarsamente riferito agli assillanti problemi della Città, di una celebrazione piuttosto slegata dalla vita, di una testimonianza della carità che se pure generosa nell’aiuto agli ultimi, supplendo alle numerose carenze ai vari livelli della vita sociale, non si fa intervento attivo per contribuire alla creazione e al rinnovamento di strutture più rispondenti ai diritti e alla dignità dell’uomo.

Si parla di “Città” con lo sguardo naturalmente rivolto anche alle dimensioni più piccole del nostro territorio, ma rivolto ancora a quelle più grandi, la Regione, lo Stato…

La Città è realisticamente più emblematica: in essa si riflette più concretamente e più visibilmente quanto viene maturato e deciso a livello politico, di legislazione, di programmazione, di governo, sul piano sindacale, economico, dello stesso costume…

Quanto qui si afferma della città vale persino delle dimensioni più vaste, quelle del mondo, con le sue culture dominanti, le sue ideologie e le sue visioni globali della vita, i diversi sistemi politici ed economici, i suoi opposti blocchi di potenze…

Tutto si riflette nella “Città”, con i peggioramenti e i miglioramenti che appunto la mediazione locale può concretamente verificare e attuare.

Peraltro lo stesso universo è diventato oggi, e sempre più diverrà in avvenire, città dell’uomo, un compito ed una responsabilità dell’uomo, là dove egli opera concretamente. Si attua oggi, più che in passato, una osmosi che nel bene e nel male, provoca scambi, mutamenti e orientamenti, e che non può essere disattesa da ogni uomo, se vuole essere parte attiva nella costruzione del mondo.

Questa ci pare un’osservazione importante per il cristiano perché operi con impegno senza lasciarsi prendere dalla tentazione di evasione di fronte alla complessità talvolta universale dei problemi. Qualunque cambiamento dipende sempre da ciascuno di noi, dalla personale “conversione”, per usare un termine evangelico; il Regno di Dio che è regno di verità, di giustizia, di amore di pace, passa sempre attraverso la coscienza e la vita del singolo per raggiungere il mondo nelle sue strutture e nelle sue istituzioni.

Passa attraverso la testimonianza della Comunità cristiana, che Cristo ha posto nel mondo come seme che deve farsi albero come lievito che deve fermentare tutta la massa.

Chiesa e città“, sono la nostra Chiesa locale, la Città in cui viviamo, ma nella prospettiva del mondo. La loro riconciliazione può apparire un’utopia, tanto più lontana quanto più si allargano i confini della realtà…

Ma se si inizia a “dare un luogo” a quella riconciliazione, l’utopia si fa concretamente speranza per il mondo intero.

Questo non è trionfalismo. È fede nella parola del Cristo: Egli ci ripete di non aver paura, guardando alla nostra debolezza e povertà, perché ha vinto il mondo, cioè il male che lo domina. Egli è presente con il suo Spirito per portare a compimento la riconciliazione di cui ha posto le fondamenta con la Sua Resurrezione, anticipo ed inizio del mondo nuovo.

Apriamoci ad una fede più autentica, ad una speranza più viva, ad una testimonianza d’amore più vera, che si fa impegno concreto nel vissuto di ogni giorno.

Lo Spirito di Cristo, che opera nell’Umanità, chiede queste aperture concrete per irrompere più largamente nel mondo e rinnovare la faccia della terra.

P.S. Le pagine seguenti sono povere di citazioni, ma non è difficile sentirvi l’eco e persino leggervi le stesse parole dei documenti conciliari) specialmente della “Gaudium et Spes” delle encicliche e delle Esortazioni apostoliche dei Papi (specialmente della “Mater et Magistra” e della “Pacem in terris” di Giovanni XXIII, della “Octogesima adveniens” e della “Evangelii nuntiandi” di Paolo VI, della “Redemptor hominis” e della “Laborem exer-cens” di Giovanni Paolo II) e di vari documenti della Conferenza Episcopale italiana (specialmente de “La chiesa italiana e le prospettive del Paese”).

Molte idee sono state riprese e applicate al concreto della situazione odierna dell’Italia e più in particolare della Sicilia nei due Convegni di Loreto e di Acireale, di cui sono in corso di pubblicazione gli Atti, che dovranno costituire per tutti luce e orientamento.

1. IN ASCOLTO DELLA CITTÀ

La Città, modello dominante della vita

01. La città costituisce ai nostri giorni il modello dominante per tutto il territorio, simbolo della no­stra convivenza e della nostra concezione del mon­do.

02. Vivere nella città è entrare in un contesto più ampio di libertà; far esplodere nuove occasioni di rapporti umani; costruirsi una identità; svolgere ruo­li, trovare occupazioni nel segno di una maggiore libertà e responsabilità umana; trovare risposte im­mediate ai più fondamentali bisogni della salute, dell’istruzione, dei servizi; ripensare la propria vita di fede non più in termini di tradizione sociale, ma come scelta e appropriazione personale.

03. In essa si coglie con immediatezza la costruzione del futuro come progetto di tutta la collettività, l’incidenza delle decisioni umane sulle strutture, la pressione dei vasti movimenti popolari. La stessa religione viene accolta se valorizza la creatività dell’uomo e la sua responsabilità verso il prossimo; si colgono più facilmente le dimensioni socio­politiche della carità, si guarda alla Chiesa con simpatia, solo se la si vede sganciata dall’ideologia della conservazione e della immutabilità verso il passato e porsi come forza che anima il mutamen­to sociale; si accettano i cristiani, se si coglie in essi la capacità di percepire i valori in atto e le aspirazioni della gente, prendere a cuore i problemi della città e dare voce a chi non ha voce.

Gli idoli della Città

04. Ma accanto agli elementi positivi non mancano quelli negativi. La Città può veicolare una mentali­tà pragmatica che spinge a preoccuparsi unicamente del funzionamento delle cose, a badare ai risultati, a ciò che rientra solo nel raggio delle possibilità presenti.-

05. Può piegare i criteri urbanistici a logiche di di­stinzione e separazione sociale ben precise, creare strutture che ubbidiscano alla ragione della produt­tività e non del servizio da rendere a tutti, taglia­re fuori anziani, malati, portatori di handicap; sva­lorizzare occupazioni che non abbiano un risultato immediato o che non siano quantificabili in termini di produttività; imporre un modello di vita borghe­se ed una mentalità sempre più economicistica e consumistica.

06. Lo stare in famiglia, la solidarietà, l’apertura agli altri, l’ospitalità, l’aiuto reciproco, la fedeltà, il ser­vizio verso i più svantaggiati possono gradualmente scomparire dal ricco patrimonio della nostra cultura popolare. E cosi la vita viene riempita con “mille cose” e mille attività (dalla macchina di grossa ci­lindrata alla pelliccia, dal capo firmato alla doppia casa, dalle ferie di lusso alle settimane bianche…); la natalità ne è fortemente condizionata, l’aborto banalizzato, l’educazione dei figli compromessa…

C’è posto per l’uomo nella Città piena di idoli?

07. Il volto umano della città rischia cosi di scomparire: la vita può diventare sempre più chiusa, egoista e prepotente.

08. Ogni aspirazione ad avere rapporti personalizzanti può infrangersi contro l’indifferenza e l’anonimato dei condomini e le grandi strutture burocratiche e funzionali. La difesa dei propri diritti si può risol­vere spesso in umilianti e lunghe attese dietro la porta di personaggi che contano e si può anche morire dietro la porta di un ospedale, perchè per “lui” non c’è posto!

La possibilità di una abitazione decente può esse­re riservata solo a pochi, altri possono aspirare all’edilizia cooperativistica in base al reddito di cui godono. Fitti esorbitanti, anticipati o pagati fuori busta si alternano a case inutilizzate o adibite “so­lo per uso ufficio”.

09. Alle nuove generazioni può essere offerto un fu­turo vuoto e senza ideali o impegni che non siano quelli del consumo, della moda, dell’evasione.

Nessuna meraviglia se poi le contraddizioni e i conflitti emergono a volte in maniera violenta, a volte in forme di impotenza o di disperazione.

La città costruita sulla sabbia dell’egoismo

10. L’egoismo diventa palese a livello individuale e collettivo. Categorie privilegiate premono per avere di più perchè sanno di poterlo ottenere, aumentan­do cosi le disparità sociali.

11. Le pressanti domande che salgono dal mondo del lavoro, trovano risposte inadeguate in un falso industrialismo che fa sorgere a volte industrie già decotte che giocano sulle sovvenzioni pubbliche, fanno ricorso con molta spregiudicatezza e facilità alla cassa integrazione, illudono le attese di molti lavoratori, si prestano per giochi politici di sindaca­ti, partiti, associazioni…

12. L’organizzazione dei servizi e delle strutture pub­bliche non solo viene a volte realizzata in modo da tutelare più gli interessi degli operatori interni che degli utenti, ma ratifica spesso le disparità so­ciali elargendo servizi ineccepibili e puntuali solo dietro forti raccomandazioni, o accetta tacitamente gravi forme di assenteismo, imboscamenti compia­centi, l’uso immotivato di straordinari, poca respon­sabilità nel gestire il denaro di tutti. In molti am­bienti e situazioni resta un sogno parlare di lavoro responsabile e creativo cosi come di partecipazione democratica, in altri occorre l’eroismo per essere semplicemente onesti.

La città di tutti nelle mani di pochi

13. L’aspirazione alla partecipazione responsabile alla vita politica, spesso finisce in deleghe in bianco a persone che vengono mandate avanti allo sbaraglio: perché stupirsi, se poi appaiono inevitabilmente po­co trasparenti, dirette dall’esterno, incapaci di dare un senso alle reali aspirazioni della gente e di aprire strade sicure con onestà e competenza?

14. O se le scelte e gli schieramenti politici si fanno cadere sempre dalla parte del più forte, di chi può offrire di più, piuttosto che guardare al realismo dei programmi e alla sincerità e onestà degli uomi­ni responsabili della loro realizzazione?

15. Si giustifica addirittura ogni forma di burocratiz­zazione e lottizzazione politica, di logica individuali­stica e clientelare, di politica intesa come gestione di potere, come scontro, eliminazione dell’avversario.

2. LA COMUNITÀ CRISTIANA NELLA CITTÀ

16. In questa situazione qual è il ruolo della comu­nità cristiana? Essa certamente non può accettare di chiudersi nel privato. È nella città e per la città.

17. Cristo ne ha fatto il prolungamento della sua umanità risorta, vivrà e sarà presente nella storia per salvare ogni uomo, ad immagine del Buon Pa­store che muore per far risorgere l’uomo a vita nuova.

18. Suo compito deve essere quello di leggere il pre­sente alla luce della storia della salvezza annuncia­ta nella Parola di Dio, fattasi carne nel Cristo e celebrata ogni giorno nell’Eucaristia, memoriale della sua morte per il peccato e della sua risurrezione per la vita del mondo.

19. La città dell’uomo diventa cosi il luogo ove si realizza il futuro che Dio ha promesso, che il cri­stiano spera di ottenere e che intanto deve antici­pare.

20. La liberazione dal peccato e la riconciliazione con Dio reclamano infatti la liberazione da strutture ingiuste e oppressive e la riconciliazione con gli altri uomini.

21. La costruzione della città, la partecipazione al processo di liberazione dell’uomo, la lotta contro situazioni di miseria e di sfruttamento o contro un falso benessere che degrada e impoverisce l’uomo, è già in certo modo opera di salvezza, è inserirsi in pieno in un processo salvifico che abbraccia tutto l’uomo e tutta la storia umana.

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Nota BLOGQuesto documento porta la data del 1° maggio 1985. Sono passati due mesi dal 1 marzo, giorno di chiusura del 1° Convegno delle Chiese di Sicilia – celebrato a venti anni dal Concilio Vaticano II. Poteva essere un formidabile propellente per migliorare l’impegno di tutti nella Promozione della Città, ma così non è stato, nonostante l’abnegazione dei non molti sacerdoti e laici che si erano augurati e speravano che ciò fosse possibile per risvegliare le coscienze di tutti, anzi…

La numerazione è stata aggiunta al testo originale come ausilio della memoria

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Per liberare e salvare l’uomo

22. La salvezza che la comunità cristiana celebra, non può essere un affare privato dei singoli credenti che non hanno nè vogliono avere alcuna ri­levanza pubblica e sociale, non è un messaggio intellettuale o intimistico che non ha nulla da dire in campo sociale o politico.

23. La comunità cristiana scopre che non è per se stessa, ma per la realizzazione storica della salvezza di tutto l’uomo.

24. Essa deve poter mostrare, nelle strutture essenzia­li di ogni storia, le concretizzazioni, le anticipazioni della salvezza di Cristo che va compiendosi, discer­nendo il male da combattere e i valori da riscopri­re e promuovere.

25. Fa valere pertanto le implicanze concrete che il messaggio evangelico reclama, mobilita la potenza critica dell’amore, fa emergere motivazioni, dinamismi, valutazioni per l’agire cristiano, impedisce che l’uomo possa essere considerato come materiale e mezzo per la costruzione di un futuro umano, gui­da l’uomo verso il futuro ultimo.

In difesa e nella promozione dell’uomo.

26. “Non può rimanere insensibile a tutto ciò che serve al vero bene dell’uomo, cosi come non può rimanere indifferente a ciò che lo minaccia” (Redemptor hominis, 13).

27. Tutti i problemi nei quali è coinvolta la persona umana nella sua esistenza, nella sua dignità, nella sua libertà e nel suo destino, divengono i problemi della comunità cristiana.

28. Con coraggio e chiarezza evangelica, annuncia la dignità personale dell’uomo immagine di Dio e re­dento da Cristo, esplicita la sua fondamentale vo­cazione a costruire una socialità fondata sull’amore nella famiglia, nel territorio, nel paese, nel mondo intero.

29. Resa esperta in umanità alla scuola di Cristo, Dio fattosi uomo, difende l’uomo e non ammette che possa essere sacrificato a nessun progetto socia­le, politico od economico. Se denuncia squilibri esistenti, modi concreti con i quali si sono strutturate le relazioni sociali o si è realizzata la giustizia, lo sviluppo, la politica, è perchè vi scorge, con spirito profetico, forme e situazioni lesive della dignità e della libertà dell’uomo.

30. Se scende a concrete testimonianze, presenze, prese di posizioni, è per rilevare la preoccupazione di rendere visibile la salvezza, per stimolare la creatività dei cristiani, per fare crescere la sensibili­tà e il livello etico della comunità civile, per solle­citare l’intervento pubblico.

Secondo il mandato ricevuto da Cristo.

31. D’altra parte la comunità Cristina è pienamente consapevole di essere custode e annunciatrice della Parola di Dio che riguarda un futuro che non sorge unicamente dalle possibilità della libertà e dell’agire dell’uomo.

32. Non può quindi ideologizzare la fede quasi che da essa provengano dei programmi politici, riducen­dola al semplice impegno sociale e facendo della li­berazione di Cristo una semplice liberazione dei po­veri. Non può chiedere nè ricevere deleghe per ri­comporre, gestire e dirigere rinnovate alleanze poli­tiche e non può elaborare una concezione sociale e politica accanto alle altre.

33. Se non spetta ordinariamente alla comunità cri­stiana operare scelte politiche, essa ha però il com­pito, mediante l’evangelizzazione, la liturgia e la te­stimonianza della carità, di trasformare dal di den­tro, di operare il cambiamento interiore, di rendere nuova l’umanità stessa (cfr. Evangelii nuntiandi, 18), di raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo, i criteri di giudizio, i valori de­terminanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita della umanità (ivi 19).

Educando le coscienze dei credenti

34. È un servizio di ispirazione e di educazione del­le coscienze dei credenti per aiutarle ad avvertire le responsabilità della loro fede nella loro vita per­sonale e nella loro vita sociale. La fede e la cari­tà esigono di essere portate ad efficacia di vita.

35. Occorre pertanto prospettare un severo tirocinio ecclesiale in grado di far assumere ai credenti un modo di vedere, progettare, impegnarsi, essere pre­senti nella società in una vera identità cristiana, facendo coincidere la verità delle intenzioni e delle affermazioni con la verità della storia e dei fatti.

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3. LE OPZIONI PASTORALI

36. Attenta ai segni dei tempi e consapevole della sua missione, la comunità cristiana vuol contribuire a dare un volto umano alla città.

37. Senza chiudersi nel privato e senza rivendicare privilegi di sorta, impegna tutta se stessa nel crea­re comunità a misura d’uomo ricche di rapporti interpersonali: fa della famiglia una scuola di umanità, si rende presente nel territorio per collaborare alla costruzione della comunità civile.

3) Costruire la comunità cristiana

38. Le nostre comunità cristiane devono poter diven­tare la casa, l’esperienza, lo strumento di comunione di tutti, segno profetico di una umanità rinno­vata che indica modi nuovi di stare insieme, di comunicare, di condividere, di crescere in umanità.

Con una nuova presenza pastorale

39. La ristrutturazione del territorio, con i nuovi in­sediamenti e lo spopolamento del centro, mette in crisi le vecchie parrocchie territoriali e richiede la creazione di una nuova presenza di Chiesa attraverso una rinnovata metodologia pastorale.

40. Non si può continuare a vivere di “pastorale di recupero” cercando di tenere in piedi quel che c’è, sacramentalizzando con affrettati e superficiali corsi di preparatone, facendo della parrocchia una “sta­zione di servizio religioso” per gente anonima.

41. La creazione di piccole comunità territoriali, lega­te ai villaggi, ai quartieri, ai condomini, con il coinvolgimento responsabile della ministerialità laicale, farà riscoprire il senso famigliare della comuni­tà, la ricchezza dei rapporti interpersonali, la gioia di sentirsi nell’assemblea come a casa propria. Ren­derà attenti a percepire l’economia della salvezza che entra più concretamente nel tessuto della vita umana, nei problemi delle persone e del territorio.

Attraverso un cammino di fede

42. Forme di pastorale nuove, cammini di formazione cristiana differenziati e attenti alle situazioni spirituali delle persone, trasformeranno le comunità in permanenti scuole di fede e ricostruiranno il contesto socio-religioso in grado di trasmettere la fede e i contenuti della fede cristiana.

43. Il cammino di fede non è concepito semplice­mente in termini di adesione intellettuale o volontaristica a delle verità da credere come se si trat­tasse di un sistema ideologico.

44. Esso suppone una metodologia di tipo esperienziale che è al tempo stesso contemplativa e liturgi­ca nella comunità. Conoscendo e imparando a cele­brare la fede della Chiesa, si è gradualmente intro­dotti nel mistero della rivelazione dell’incontro col Signore e qui si scoprono o riscoprono i contenuti del Vangelo trasmessi nella fede e le esigenze eti­che, si colgono i riflessi concreti e fecondi per l’esistenza quotidiana.

La centralità della celebrazione

45. Le celebrazioni liturgiche siano celebrazioni della fede fattasi vita: le omelie, fedeli ai testi liturgici, legate alla Storia della Salvezza, sappiano rivolgersi alla vita quotidiana della gente, ne colgano le domande cruciali, dicano con amore la verità cristiana sui problemi che giocano il suo futuro.

46. Chi presiede la comunità sia immagine coerente del Cristo che dà tutto se stesso per i suoi amici attraverso un’autorità fatta servizio disinteressato, una predicazione divenuta testimonianza personale di vita, una guida della comunità tradotta nel camminare avanti, segnando la strada, adeguando il cammino con chi è più lento, cercando chi si è allontanato, proclamando con fermezza e chiarezza il Vangelo di Cristo, pagando di persona per il be­ne della comunità.

47. Lo spirito di povertà e di giustizia appaia evi­dente nell’amministrazione dei beni ecclesiali e di qualunque genere, sempre trasparente e aperta ai bisogni degli ultimi, ma anche alla libertà evangeli­ca, che porta a rifiutare appoggi, protezioni, finan­ziamenti anche per finalità buone se provengono da persone o ambienti di dubbia moralità o di oc­culti intendimenti.

2) Costruire la comunità famiglia

48. La famiglia rimane il luogo privilegiato dell’edu­cazione e della maturazione ai valori umani e alla vita di fede nella Chiesa. Il vissuto famigliare ma­nifesta infatti, annuncia e ripresenta il vissuto della Chiesa.

49. Un caldo e sereno ambiente famigliare basato sull’amore, il dialogo, la comprensione, l’accoglienza, il rispetto, apre al valore della persona e ai rap­porti personali come dono dello Spirito e possibilità storica concessa agli uomini.

Imparando a vivere

50. Il desiderio di trasmettere la vita o di accoglier­la, trasmetterà anche l’idea che la vita è un dono di Dio che vale la pena di essere vissuta e non può essere sprecata in avventure superficiali e insignificanti, buttata via dietro una siringa, logorata con giornate stressanti, senza riposo, senza tranquil­lità.

Ascoltando gli altri

51. La condivisione di gioie e dolori, speranze e pri­vazioni, educa alla solidarietà e alla carità generosa con tutti, fa trovare il tempo per accogliere e ba­dare agli anziani, ai malati, ai portatori di handi­cap senza lasciarli soli con il peso degli anni o delle sofferenze, scaricarli in un ospizio, aspettando che se ne vadano con discrezione senza tanto ru­more. Rende capaci di rinunciare a un lavoro quando la famiglia gode già di un cumulo “suffi­ciente” di salari, sapendo determinare nella fede, il “necessario” per sè e la propria famiglia, per poter stare con i propri figli, per accettarne magari un altro non previsto nè voluto, per poter venire in­contro ai bisogni di altre famiglie.

52. La sensibilità e l’attenzione agli altri vissute nella famiglia faranno gestire il benessere economico del quale godono molte famiglie, senza chiudere gli oc­chi sulla folla dei nuovi poveri tutt’ora priva dell’essenziale, nè farà retribuire con criteri di sfrut­tamento le collaboratrici famigliari, specie quelle di colore, che spesso rendono possibile la libertà e l’inserimento nella vita sociale di molte donne e rimangono l’unica presenza affettiva accanto ai figli lasciati soli tutto il giorno.

Imparando ad amare

53. L’impegno comune a vivere l’amore di Cristo nella stabilità e fedeltà, aiuterà i nostri ragazzi a superare l’insicurezza affettiva che li caratterizza, che anticipa precoci e instabili esperienze affettive, rende fragili i nuovi matrimoni, fa scegliere la con­vivenza come situazione ottimale della vita di coppia, reversibile, non definitiva, suscettibile di essere interrotta in un atteggiamento di eterno fidanza­mento.

Imparando a morire

54. Le risposte trovate nella fede famigliare alle do­mande inquietanti sulla vita e la morte, sul dolore e sulla malattia, demoliranno la congiura del silen­zio che spesso circonda i propri parenti giunti al termine della vita. Vengono lasciati morire soli, senza avere il coraggio di rispondere ai loro spesso silenziosi interrogativi, paure, ansie, perché forse non si è saputo trovare ancora una risposta perso­nale.

La vita di famiglia inizia alla vita della chiesa…

55. Il perdono reciproco vissuto nella famiglia darà un volto umano concreto al perdono del quale si fa esperienza nella celebrazione sacramentale; lo sta­re insieme a tavola, mangiando lo stesso pane frutto del lavoro di tutti, inizierà alla comprensione dell’altra mensa preparata da Cristo nell’assemblea domenicale; l’amore celebrato nella famiglia, spesso a costo di grandi sacrifici e rinuncie, diventerà lo stesso linguaggio e la stessa esperienza per “dire” e “fare” (=celebrare) l’amore di Cristo per la sua comunità.

… e alla vita della comunità civile

56. La soluzione nell’amore dei conflitti, incompren­sioni, egoismi all’interno della famiglia, aprirà a quelle strategie del dialogo, della trattativa, della non violenza, della tolleranza che sono poi i valori sui quali si fonda il bene comune e la vita nella città.

3) Costruire la comunità sul territorio

57. L’esperienza liturgica di comunione con Dio e tra i fratelli vissuta nell’ambito della comunità cristiana e della famiglia, deve proiettarsi nella testi­monianza e nell’impegno per costruire la comunità civile nel territorio.

Il senso dell’impegno nella città

58. L’atteggiamento morale di responsabilità verso il prossimo e la società diventa il “segno umano” at­traverso il quale gli uomini percepiscono che un Evento assolutamente unico è ormai presente e operante nella Storia.

59. L’impegno dei Cristiani diventa il luogo e il mo­mento che rivelano la presenza e l’azione di Cristo e il suo incontro con l’uomo.

Fare sintesi tra fede e vita

60. Per i cristiani si tratta di raccogliere la provoca­zione dei profeti i quali denunciano come vuoto e vano un culto distaccato dalla vita.

61. Celebrare la festa, offrire il sacrificio, presentarsi al Signore vuol dire imparare a fare il bene, ricercare e praticare la giustizia, soccorrere l’oppresso, difendere la causa degli ultimi (cfr. Am. 5,21-25; Is. 1,10-16; Mich. 6,5-8).

62. Ritrovarsi e abitare nella casa del Signore com­porta l’emendamento della condotta e delle azioni, svolgere con onestà il lavoro, amare il bene comu­ne, creare uguaglianza, rispettare, tutelare e promuovere la vita (cfr. Ger. 7,4-7).

63. Porre un gesto autentico di religiosità vuol dire dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri, i senza tetto, vestire chi è nudo, togliere situazioni oppressive, riscoprire responsabilità personali (cfr. Is. 58,3-11).

Per amore dell’uomo

64. Si tratta di vivere senza ambiguità e compromessi, quei valori condivisi dagli altri uomini e che i cristiani hanno imparato a rileggere nella considera­zione completa dell’uomo redento da Cristo.

65. Essi storicizzano cosi nella città, l’esperienza di comunità fatta nell’assemblea domenicale, danno un corpo umano e secolare al “pane spezzato” che son divenuti nella Eucarestia, attraverso il servizio e il dono di se stessi.

66. Attraverso la ricchezza della loro umanità pongo­no un segno espressivo della vita nuova riscoperta nella celebrazione.

67. L’impegno socio-politico è il loro modo particola­re di manifestare la fede-carità-speranza.

4. I CRISTIANI NELLA CITTÀ

Una verità di sempre

68. La presenza e il servizio della Chiesa nella città passano attraverso l’efficace presenza dei cristiani, nella consapevolezza che l’unica fede non necessa­riamente debba coincidere con i programmi di azio­ne culturale sociale e politica che i cristiani singoli o associati perseguono.

69. “Spetta alle comunità cristiane analizzare obietti­vamente la situazione del loro paese, chiarirla alla luce delle parole immutabili del Vangelo, attingere principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione nell’insegnamento sociale della Chiesa… individuare le scelte e gli impegni che conviene prendere per operare le trasformazioni sociali, politi­che ed economiche che si palesano urgenti e ne­cessarie in molti casi” (Octogesima adveniens, 4).

Una verità spesso oscurata

70. La comunità cristiana va prendendo coscienza che se non si è fatto abbastanza per la città, non è perchè si è cristiani, ma perchè non lo si è af­fatto, o lo si è in maniera inadeguata o distorta.

71. Abbiamo data per scontata l’identità cristiana dei nostri fedeli senza accorgerci che di fatto sono cre­sciuti senza catechesi, accontentandosi di una fede infantile, di esperienze bibliche e liturgiche piuttosto emotive, di saggistiche di moda, di tematiche ses­santottine ed assemblearistiche, a volte consumando­si in imprese sociali e politiche senza più un serio confronto con il Vangelo e con la fede della Chiesa, rincorrendo l’emergenza dei problemi quoti­diani, ponendo in atto scelte operative dove è difficile se non impossibile ritrovare la matrice cristia­na.

72. Abbiamo permesso o assistito impassibili alla for­mazione di una mentalità, da parte di molti cristiani, di emarginazione o minorità ecclesiale sol perchè impegnati nel campo della politica o dell’economia, di altri invece, singoli o associati, abbiamo favorito o accettato una presunta rappresentanza di Chiesa di frontiera.

73. Altri abbiamo lasciato che fossero sommersi da una ideologia non laicale ma laicista, dove l’immersione nel temporale e l’autonomia necessaria delle sue leggi spesso prescindono dal progetto di Dio cosi come la Chiesa l’annuncia, lo celebra, lo vive.

74. Altri abbiamo educato all’insegna del più discuti­bile infantilismo spirituale, creando una paurosa spaccatura tra vita e fede, tra appartenenza alla comunità ecclesiale e inserimento nella comunità ci­vile, facendone dei chierici in miniatura.

75. Altri poi abbiamo appoggiato e sostenuto solo per interessi personali, o pseudoreligiosi.

La via della formazione cristiana

76. L’amore per la città deve tradursi in impegno, da parte di tutta la comunità cristiana, a formare dei cristiani che sappiano impegnare la fede con responsabilità e autonomia nella politica, nell’economia, nei consigli di quartiere, nella struttura sanita­ria e scolastica, nell’organizzazione del volontariato, nel mondo del lavoro…

77. La formazione deve renderli idonei a leggere e a fare la storia con gli occhi di Dio; come i profeti, a denunciare tutto ciò che blocca e degrada il suo disegno di salvezza; ad accogliere ogni segno di speranza; ad offrire tempo, competenza professiona­le, idealità, chiarezza di scelte e di comportamenti; a cercare soluzioni in spirito di apertura, di dialo­go e di collaborazione con tutti.

78. Il contatto continuo con la comunità, l’ascolto della Parola, lo studio dell’insegnamento sociale della Chiesa, la celebrazione liturgica, il confronto con la testimonianza della carità, costituiscono la verifi­ca, l’alimento, la motivazione del loro impegno.

Nella città con spirito di collaborazione

79. Quanti hanno a cuore un futuro della città a misura d’uomo, devono poter guardare ai cristiani nella speranza di trovare in loro stimoli per nuove progettualità per reagire al deserto ideale.

80. I cristiani sono chiamati a collaborare e a cerca­re alleanze nel quadro di una grande chiarezza di idee e di una concreta volontà di servizio senza ammettere ambiguità, contraddizioni, compromessi sui grandi valori dell’uomo e della comunità.

81. La prudenza e la vigilanza evangelica farà si che l’idealità non perda la sua carica utopica nelle sue storiche e pluralistiche mediazioni, nè rifluisca in iniziative di piccolo cabotaggio, marginali, insignificanti, carenti di coraggiose e puntuali analisi capaci di andare alla radice dei problemi.

82. L’attenzione ai problemi del bene comune, se aprirà la strada a contributi personali e comunitari per pianificare ed elaborare interventi utili, darà anche il coraggio di toccare interessi e consolidate abitudini di potere per non cadere di nuovo in condizioni protette, clientelari e anche mafiose.

83. Cosi l’amore per la democrazia nella città, nel lavoro, nel sindacato, nei partiti, deve saper andare oltre le ragioni di maggiore produttività ed efficien­za e spingersi anche alla contestazione del gioco spesso incomprensibile delle varie “segreterie” che rischia di risolversi in poca o nulla attenzione alle aspirazioni dei lavoratori e dei cittadini.

Presenti per servire

84. Competenza, moralità, chiarezza, spirito di colla­borazione guideranno la scelta o l’appoggio di chi ritiene di poter lavorare in prima linea sui fronti della politica, dell’economia, dell’amministrazione pubblica.

85. Il contatto vivo con la comunità che li ha espressi e che crede nei valori della partecipazione, della democrazia, della giustizia sociale, renderà de­terminante la loro presenza nelle situazioni e nelle strutture ove si decide il destino di tante famiglie, ove si creano o si superano le disparità, ove si gioca tutto sulla speranza e sulla giustizia o si af­fossano i bisogni fondamentali nell’immobilismo bu­rocratico o nei giochi di potere.

86. La scelta della militanza nel sindacato o nella politica comporta coraggio evangelico, spirito di sacrificio e fermezza d’animo perchè l’onestà, il disin­teresse, l’amore per la giustizia specie a riguardo di persone e categorie non tutelate o non significanti sul piano elettorale, non sempre “fanno far carriera”.

Nello spirito dei profeti La questione morale

87. Non si può non essere intransigenti sulla que­stione morale di persone fin troppo compromesse e sempre appoggiate o di strutture ingiuste nelle qua­li con superficialità ci si inserisce per raggiungere posizioni più vantaggiose.

88. Si deve contestare un modo di far politica che non rispetta le più elementari leggi della partecipazione democratica.

89. Si deve parlare apertamente contro l’evasione fi­scale, le rivendicazioni corporative, l’uso egoistico e individualistico dei capitali.

90. È tempo ormai, con matura coscienza sociale, di indicare i limiti della liceità di uno sciopero, di non far ricorso alle sovvenzioni pubbliche senza al­cuna giustificazione, di non frodare la previdenza sociale e il fisco, di non abusare del servizio sani­tario. Sarebbe un andare contro la giustizia.

91. Non si può accettare passivamente lo sperpero di enormi risorse impiegate in logiche di morte o in finanziamenti pseudoculturali, quando situazioni di povertà assolute tutt’ora presenti nella città rimangono senza risposta e quando intere fasce sociali si vedono preclusa ogni via di sviluppo: rimangono ancora scandalosamente insoluti molti problemi della salute, della casa, del lavoro, dei servizi pubblici.

92. Nè si possono continuare a risolvere i problemi personali ricorrendo alla logica delle raccomandazio­ni che non favorisce l’esercizio della giustizia: solo “chi ha e chi conta” verrebbe gratificato nel suo progetto di avere di più e di contare di più.

I nuovi poveri II volontariato

93. Il futuro umano della città dipenderà dalla de­molizione di quei nuovi idoli che si stanno co­struendo (denaro, potere, consumo, spreco, tendenza a vivere al di sopra delle possibilità), ma dipenderà anche dall’ascolto del grido dei nuovi poveri che la città ignora e perfino coltiva.

94. Solo assieme agli ultimi si può costruire un ge­nere diverso di vita basato sui valori del bene co­mune progettando insieme a loro il domani e ri­partendo i sacrifici da affrontare.

95. In questo contesto il volontariato non può essere visto come espediente di copertura dei buchi lascia­ti aperti dall’ombrello dell’assistenza pubblica o co­me avallo a latitanze, disimpegno, cattiva amministrazione… ma solo come modo di porsi da cristia­ni nella società, nella riscoperta del dono e della gratuità, nell’impegno per far crescere la coscienza della società.

Il lavoro per tutti come via di umanizzazione

96. Non si può continuare a dissertare sulla vitale questione della disoccupazione che tanti guasti, an­che di natura morale produce nel tessuto sociale.

97. Il lavoro è sacro, appartiene alla stessa definizio­ne di uomo, alla sua dignità.

98. La mancanza di lavoro non è una fatalità, non può essere racchiusa nelle cause strutturali, oggetti­ve.

99. Le nuove frontiere del lavoro saranno frutto del­la sensibilità di tutta la società, richiedono la creazione di nuove forme di solidarietà, di nuove idee che la smettano di considerare produttivo un capi­tale che espelle manodopera.

Tutti responsabili

100. Occorrono pertanto soluzioni indilazionabili che chiamano in campo autorità, imprenditori pubblici e privati, amministrazione, chi detiene i capitali, chi un lavoro ha già e chi lo attende, affinchè ognu­no nel suo ambito contribuisca alla creazione di un lavoro per tutti nella quantità e nella qualità necessarie e vigili perchè le scelte non disattendano le primarie esigenze di tutti causando cosi ulteriori, più gravi sofferenze, frustrazioni, violenza, calo di fiducia e di senso della vita.

I cristiani dinanzi ai problemi del lavoro

101. I cristiani siano impegnati nei problemi riguar­danti la difesa del posto di lavoro, l’occupazione, la sicurezza e la sanità dell’ambiente di lavoro e specialmente la qualità della vita del lavoro.

102. Utilizzino le strutture e gli strumenti di parteci­pazione per la difesa dei diritti dei lavoratori, quali i partiti e i sindacati.

103. Svolgano il proprio lavoro con dignità, competen­za e spirito di servizio, reagendo al disimpegno, ad ogni forma di alienazione e di dissacrazione, di di­scriminazione teorica o pratica per altri lavori considerati inferiori. Non si chiudano egoisticamente nei confronti di categorie più deboli e meno tutelate.

CONCLUSIONE

104. La chiesa locale non ha la pretesa, nè può averla, di indicare o dare soluzioni, nè è chiamata ad elaborare decreti sul costo del lavoro, sul dina­mismo della scala mobile, sui punti di contingenza.

105. Non spetta alla chiesa suggerire come bloccare l’inflazione, reperire capitali, inventare e creare nuovi posti di lavoro, dare possibilità di accedere all’acquisto o nell’affitto di una casa, proporre pia­ni regolatori.

Scommettere sulla giustizia

106. La Chiesa sa, però, che su questi problemi e sulla loro soluzione oggi si sta giocando il futuro umano della nostra città.

107. Sa che per i cristiani il dinamismo della riconci­liazione con Dio che non passa attraverso l’impe­gno per un progetto di giustizia, diventa alienante e alibi per tacitare la propria coscienza, in tal ca­so farisaica ed egoista.

Attingere all’Eucarestia

108. A nulla vale l’osservanza scrupolosa di una cor­retta pratica religiosa se poi si trasgrediscono le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia, la fedeltà (cfr. Mt. 23,23); se poi si creano disparità all’interno del tessuto sociale (cfr. Giac. 2) o non si fa niente per rimuoverle.

109. L’Eucarestia è riscoperta e riattualizzazione dell’adesione totale a Dio e nello stesso tempo riscoperta della Carità come fondamentale dimensione della vita cristiana, del privilegio da dare agli ultimi, dell’impegno per la giustizia e il servizio ai fra­telli poveri.

Dare un volto storico alla Carità

110. La carità reclama l’azione politica come maniera esigente di vivere l’impegno cristiano al servizio dei fratelli (cfr. Octogestima adveniens, 46).

111. Essa esige la creazione di ordinamenti giuridici, strutture, organizzazione del lavoro, costruzione di una città ove l’uomo possa realizzarsi nella ricchez­za della sua umanità.

112. La carità verso il prossimo, oggi per noi cristia­ni si misura dal modo come ci si pone dinnanzi a questi problemi.

113. Sostenere ancora che ognuno debba cavarsela da solo, che i problemi sono più grandi di noi, che sono i politici o i vertici sindacali a doverci pensa­re, significa fare come il levita o il sacerdote che passano oltre lasciando sulla strada di Gerico il fratello ferito, dissacrando il senso della preghiera fatta al tempio.

114. In nome di quell’esperienza di riconciliazione fat­ta attorno alla Eucarestia, possiamo dire apertamen­te che tutti, direttamente o indirettamente, siamo chiamati, ognuno per la parte che gli spetta, a contribuire alla soluzione, nella carità fatta giusti­zia, di questi problemi.

Operare nella speranza

115. Il compito del cristiano è difficile, impegnativo, pieno di responsabilità, esige coraggio, disponibilità alla sofferenza delle incomprensioni, persino dei so­spetti, delle condanne. Proteste e condanne possono venire da parte di chi vuole ridurre la fede al piano individualistico e intimistico e comunque strettamente religioso, negando al cristiano il diritto-dovere di portare il contributo della sua fede nella costruzione del mondo.

116. Incomprensioni e sospetti possono trovarsi anche in tanti fratelli nella stessa fede, resi timidi dalla paura di compromettere la fede, cedendo ad una sorta di puritanesimo per il quale la politica non può essere redenta, e negando cosi la possibilità stessa di una riconciliazione tra Chiesa dei credenti e Città dell’uomo.

117. Ma se Cristo ha redento tutto l’uomo e la poli­tica è una dimensione essenziale della vita dell’uo­mo, essa non può e non deve essere chiusa all’in­tervento del cristiano.

118. E di fronte alle opposizioni e alle difficoltà il cristiano trova la forza nella fede che Cristo è presente nella storia e ne è il Signore.

119. La sua fede si fa allora speranza che si esprime nella preghiera fiduciosa e nell’impegno generoso.

Messina, 1 Maggio 1985.

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