Fw: F.A. Giugno 09 – Il metodo paolino evangelizzazione – di Bruno Maggioni

Tema di Giugno 2009: Anno Paolino.

Mentre ci aspetta l’importante appuntamento delle prossime votazioni per il Parlamento Europeo, vogliamo anche prepararci alla conclusione dell’anno paolino voluto da Benedetto XVI. L’importanza che il Papa ha dato a questa circostanza la possiamo anche dedurre dal fatto che il Papa stesso, tra luglio 2008 e febbraio 2009, ha dedicato ben venti Catechesi nelle udienze del mercoledì ad approfondire gli insegnamenti degli scritti e della vita di San Paolo. E’ dunque su questo tema che voglio attirare l’attenzione con un breve articolo di Bruno Maggioni.

In questo mese poi pensando alla conclusione dell’anno paolino con la solennità dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, prepariamoci anche a celebrare la Festa del Papa, tanto cara a Don Orione. 

Il metodo paolino   evangelizzazione  di Bruno Maggioni

 Il segreto tesoro contenuto in vasi di coccio

Parlare del metodo di evangelizzazione di Paolo è parlare innanzi­tutto della figura di Paolo, che ci porta al centro, ancora una volta, del Vangelo1.

 Avrei quindi un sacco di cose da dire ma cerco di riassumerle in poche battute.

Per esempio: evangelizzare. Ma evangelizzare che cosa? La lieta notizia. Quale lieta notizia?

C’è una notizia lieta, sorprendente. Lieta vuoI dire che tocca, che ti tocca: tocca la tua vita chiunque tu sia. E poi il come: questa lieta notizia come la porto? E a questo riguardo già sapete che Paolo corre, si ferma nelle città; dopo un po’ che ha appena formato una comunità se ne va altrove, però non si dimentica di quelli che ha incontrato; poi ritorna, e scrive. C’è di mezzo, allora, la persona dell’evangelizzatore.

I metodi non li conosco; a noi quel che interessa è il che cosa è questa notizia, e che persona devo essere per poterla annunciare. Dunque la proposta che faccio qui è partire dall’uomo Paolo, per capire, da alcune sue frasi, qual era la sua notizia, quale il suo entusiasmo. «Purché Cristo sia annunciato» (Fil 1,18): Paolo è in prigione e non aveva altro inte­resse. Il suo criterio per le decisioni è «purché» Cristo sia annunciato. Non si vergogna del Vangelo: infatti, scrive «mi sono fatto tutto a tutti per salvare qualcuno ad ogni costo» (ICor 9,26). Tutto a tutti, e mi accontento di qualcuno. È già un miracolo che ci sia qualcuno. Se non si fosse ancora capito, mi sto togliendo qualche sassolino dalle scarpe nei confronti dell’evangelizzazione, così come la viviamo nelle nostre comunità cristiane. Ancora: «Quello che poteva essere per me un gua­dagno l’ho considerato una perdita» (Fil 3,7): ma che cosa ha trovato? «Quando sono debole è allora che sono forte» (2Cor 12,10): la forza nella debolezza. «Non predichiamo noi stessi ma Cristo Gesù» (2Cor 4,5): la comunità non predica se stessa! Piuttosto rimanda a qualcosa che viene prima e di cui è portatrice. E poi la gran frase, della quale ho fatto il titolo di un mio libro: «Portiamo il nostro tesoro in vasi di coccio» (2Cor 4,7) che ha un significato bellissimo.

Io sono contento che la comunità cristiana sia un vaso di coccio or­dinario! Perché se fosse un bel vaso greco tutti guarderebbero il vaso e basta, senza essere curiosi o interessati a sapere cosa ci sia dentro. Siamo forse curiosi di sapere cosa c’è dentro un vaso greco? Anche se guardiamo alla Chiesa, a volte, non è proprio un vaso greco; a parte il fatto che -ap­punto -Qualcuno ci ha messo dentro qualcosa di veramente prezioso.

«Non mi vergogno del Vangelo» (Rm 1,16). «Segregato per il Vangelo di Dio» (Rm 1,1), segregato in funzione dell’annuncio del Vangelo: cioè tirato fuori da tutto, perché concentrato in questa segregazione. Segregato per servire solo il Vangelo.

Quindi, Paolo era un uomo estremamente concentrato e dalle molte esperienze che, però, avevano un centro unitario: il sentirsi segregato per il Vangelo. Non si può essere a mezzo servizio per il Vangelo. E, no­nostante sia stato scritto in un modo che può sembrare differente, con qualche frammentazione, il Vangelo è unitario, perché scaturisce tutto da un centro.

Paolo chiama questo centro «grazia»: «lo non mi vergogno del Van­gelo poiché esso è la potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e del Greco poi» (Rm 1,16-17). È il nesso che rivela la giustizia di Dio di fede in fede.

Diciamo, allora, subito che per Paolo il Vangelo è la giustizia di Dio che si dona a noi, si manifesta a noi, e richiede accoglienza come un dono prezioso; un dono che sembra debolezza, ma che è forza e potenza.

Non c’è da vergognarsi del Vangelo: vergognarsi significa sfuggire, rendere «intelligente» il desiderio di servire il Signore, renderlo a forza con mezzi esterni di altro genere, elaborati da noi. In realtà la notizia è sempre sorprendente, ed è bella. Paolo ha capito che il suo rapporto con Dio, la sua visione e concezione di Dio, andava rovesciata; e sono

convinto che sia arrivato a questo rovesciamento non solo -e non tanto -perché si trovava insoddisfatto, ma perché ha incontrato qualcosa di nuovo che lo ha veramente sorpreso, colpito e affascinato.

lo non credo -torno sul pratico -che si arrivi a Gesù Cristo facendo vedere all’uomo cosa gli manca, fino a dove deve arrivare, come se, poi, quale conclusione «saltasse fuori» Gesù Cristo. lo presento Gesù Cristo che spero ti affascini! Questo per me è importantissimo. Certo che Paolo si è ben espresso: non sono io che devo andare verso Dio con le opere, ma è Lui che viene a me con la sua gratuità. Questa è una professione teologica, non morale! E infatti la sua conversione lo ha lasciato capo­volto. Noi di questa modalità di conversione parliamo poco, adesso si preferisce parlare più di conversione morale. Invece la gratuità è una sorpresa, e se san Paolo è sempre rimasto legato a questa idea che gli è venuta dalla sua esperienza, allora vuoI dire che aveva capito che essere sotto la Croce è la cosa più sensazionale del mondo. Se è la Croce che salva me, non sono più io che salvo me stesso, non sono le mie opere! La gratuità sta proprio in questo fatto. 

  1. Capire il Vangelo andando in mezzo ai barbari: Paolo, uomo della parola 

Vi è, poi, la questione dell’universalità del Vangelo: poiché la salvezza dipende dall’amore di Dio, e questo non fa certo differenze. Nell’apertura al mondo pagano, Paolo sostiene di essere in debito con i Giudei e con i barbari, con i dotti e con gli ignoranti (cf Rm 1,14-15): ha capito il Vangelo proprio andando in mezzo a loro.

Certo non deve essere stato facile per lui questo metodo di evangeliz­zazione, perché era più facile, umana e ragionevole un’universalità per così dire «graduata»: prima convertiamoci noi, poi quando Gerusalemme sarà convertita -la città posta sul monte (cf Mt 5,14) -il mondo vedrà e si convertirà. Ma: è gli altri?

Inoltre, per Paolo contava non solo andare nel mondo pagano da Giu­deo: il suo è un portare Gesù Cristo, non il giudaismo e i suoi costumi. Non è infatti possibile, ancora oggi, fare diversamente nell’evangelizza­zione. Se non è universale il Vangelo non vale niente, perché se è la bella notizia di Dio, allora vale per tutti.

E, infine, la debolezza: il Vangelo è una verità che tu puoi raccon­tare, mostrare per quanto possibile, ma che non devi rapportare con la credibilità delle altre cose. Altrimenti facciamo come i commercianti: per evangelizzare facciamo gli spot televisivi. Mi fa rabbia vedere come noi cristiani cerchiamo di vendere il Vangelo di Dio, come se fosse un prodotto. Cosa crediamo di fare comportandoci così? Di rendere credi­bile il Vangelo con le nostre stupidaggini? La verità del Vangelo è tale che porta da sola dentro di sé la sua credibilità, ed è questa la sua forza. E l’altro a cui rivolgi l’annuncio è libero di decidere: non lo sommergi di questi «trucchi» pastorali, che sono sempre quelli che impediscono l’evangelizzazione.

Questi mi danno sempre un po’ di sorpresa. Come quando si cercano dei testimonial: cosa crediamo, che la gente si converta perché lo ha fatto un’attrice famosa? Non è così che si annuncia la notizia.

Un testo che tutti prendono in considerazione riguardo al metodo di evangelizzazione paolino è la Prima lettera ai Corinzi, nella quale si parla di saggezza e di stoltezza, della potenza della Croce: «Cristo infatti non mi ha mandato per battezzare, ma per predicare il Vangelo» (lCor 1,17). A me consola un po’ questa frase, perché ho battezzato pochi nipotini. .. Il Vangelo è da dire: la Parola non si abbandona. l fatti vanno bene, ma i fatti che io ho da soli non bastano, perché l’uomo ha bisogno dell’amore di Dio, non del mio. Il mio amore deve introdurlo all’amore che viene da Gesù Cristo. Quindi la parola è indispensabile.

Paolo è l’uomo della Parola: «La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio» (lCor 1,18). Ma cosa vuoI dire? E poi continua: «Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dove mai il sottile ragionatore di questo mondo?» (lCor 1,20). È questo che noi pretendiamo di essere: sapienti, dotti.

«E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani» (lCor 1,22-23). Il Greco è una persona rispettabilissima: cerca di capire, di arrivare a Dio. Certo, fa bene. l Giudei, invece, sono credenti e chiedono la manifestazione di Dio, un’azione degna di Dio, e perciò potente. E, invece, noi cristiani possiamo «solo» annunciare Cristo Cro­cifisso, che non è frutto di una nostra ricerca, tanto meno corrisponde alla manifestazione di Dio che vorremmo.

La Croce esprime una debolezza; tuttavia, bisogna stare attenti, come ha fatto Paolo: perché la Croce, da una parte, esprime una debolezza di Dio che rifiuta altri strumenti, e vuole convincere con la sua verità e il suo amore; altro che miracolo! È molto di più che un miracolo! E, dall’altra parte, tale debolezza ha un fascino: è la gioia di credere in un Dio, nel volto di Dio rivelato da Gesù, che rispetta la libertà del cristiano. 

  1. L’efficacia dell’evangelizzazione sta nel dire la verità della Croce 

Per me il fatto che il volto di Dio si sia rivelato nel Crocifisso, e che la Croce non è il prezzo da pagare, ma è invece la misura della grandezza dell’amore di Dio, e la sua condivisione della situazione umana, del suo amore per gli uomini; ebbene un Dio così a me piace molto di più di un Dio che «sistema» la condizione dell’uomo, togliendo magicamente tutte le cose che non vanno. Il nostro è un Dio che è venuto a condividere. Ed è una cosa incredibile per la sua incredibilità, per la sua inaspettatezza: chi l’avrebbe mai pensato? Eppure è sapienza e forza!

Paolo ha parlato anche della Risurrezione, intendiamoci, però qui ha parlato della Croce. Non sente il bisogno di parlare ogni volta della Risur­rezione nascondendogli dentro la Croce. Infatti, la Risurrezione mi dice che la Croce è veramente la manifestazione di Dio; la sua manifestazione è la Croce, non la Risurrezione! Giacché il fatto che Dio risorga lo trovo più che originale, ma ancora di più che si sia fatto uomo come me, che sia morto come me. L’efficacia della comunicazione, nell’evangelizzazione, sta nel dire la verità della Croce, più che altre cose.

C’è poi un’altra idea che va detta, come la Prima lettera ai Corinzi rivela: Paolo ha parlato non solo della Croce in sé, ma ha parlato della predicazione del Crocifisso, e di lui stesso che predica il Crocifisso. An­che qui troviamo lo scandalo che nondimeno è forza. Così anche noi dob­biamo dire quello che Dio ci rivela, senza alcun tentativo di nascondere la novità dell’amore gratuito di Dio. Che poi questo amore sia trionfante nonostante noi lo vediamo perdente, è un altro discorso.

Un’ulteriore cosa che a me pare bella è che Paolo parla del Vangelo come di libertà: «Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi» (Gal 5,l). La libertà è lo scopo, non è in funzione di qualcosa: Cristo ci ha liberati per la libertà. Bisogna dare testimonianza che il Vangelo è liberante. Però è liberante se diventa occasione di amore: la libertà richiede un’appar­tenenza.

Se, invece, metti te stesso al centro ti opponi alla libertà. L’uomo, infatti, può perdere in due modi questa libertà, e il cristiano può venir meno. Il primo modo è il «fai-da-te», una libertà che mette al centro te stesso. Paolo dice una cosa bella quando denuncia il mondo: «Hanno soffocato la verità nell’ingiustizia» (Rm 1,18). Ingiustizia vuoI dire che dici essere vero e bello ciò che conviene a te, ciò che esalta te; l’ingiustizia stessa è l’affermazione di sé. Da questo vengono tutte le di­visioni, per esempio fra uomo e donna, fra uomo e uomo e così via (cf Rm 1,26 ss). Non perché Dio castiga, ma perché se tu, uomo, hai scelto questa regola come la tua, guarda dove ti porta. E ripete tre volte riguardo a queste persone: «Dio li ha abbandonati» (cf Rm 1,24-28). 

  1. L’«altro» è sempre prima del giusto o dell’ingiusto: la libertas chri­stiana 

Paolo l’evangelizzatore rivela, allora, una coscienza di apostolo che è fondamentale per l’evangelizzazione da parte del vero cristiano: lo abbia­mo visto segregato per il Vangelo. C’è in lui una passione dominante che è lo stesso Vangelo. Riguardo alla coscienza, quando affronta l’argomento dei cibi impuri (cf lCor 6,12-13), dice infatti che, nel conflitto tra verità e libertà, vieni prima tu, il diritto che tu hai; e quindi Paolo ha proprio la coscienza cristiana dell’altro. In questa coscienza cristiana non c’è solo quello che è giusto e non è giusto, vero o non vero, ma c’è l’altro. Egli o è mèta per davvero, o va «tranciato».

E più avanti ancora, parlando della morale e dell’invito a non vivere del frutto della fornicazione (cf lCor 7,1 ss), dice di fare la scelta che ultimamente è riferita ai criteri del Vangelo.

Ma Paolo è un «grande» e scrive cose bellissime, ad esempio, quando parla dei carismi (cf lCor 12), o nell’inno alla carità (cf lCor 13), nel qua­le ci dice che puoi avere tutte le qualità e i doni, ma se ti manca la carità sei come un «trombone». E la carità è una serie di relazioni improntate all’accoglienza e all’amore, al rispetto della dignità dell’uomo.

Altra cosa bellissima: Cristo ci ha liberati dalla Legge (cf Rm 8,2­3). Questo vuoI dire che ciò che prima era sotto la Legge, ora sei tu a deciderlo, secondo la tua libertà. E lo Spirito cambia il «meccanismo» interiore che hai nella decisione: non sei più rivolto a te stesso, ma alla carità. Per cui il comando a vivere la carità è una trasformazione interiore. Il secondo aspetto di questa libertà è che chiami Dio «papà», addirittura «babbo».

La creazione geme. Anche noi, aspettando l’adozione, gemiamo (cf Rm 8,22-23), e anche lo Spirito stesso geme in modo inesprimibile (cf Rm 8,26): quindi, da una parte, vi è questa libertà rinnovata e, dall’altra, la solidarietà tra uomini che hanno paura di morire, che non hanno sod­disfazione in questa vita, che cercano; infatti, c’è sempre una solitudine, un non-compimento dentro di noi.

Il cristiano, però, è -appunto -cristiano, il suo gemito è diverso da quello del pagano, perché è un gemito di speranza; tuttavia resta un gemito. La vita attuale è una anticipazione, e se sai che è tale, la gusti come anticipo della pienezza. Se sei certo della pienezza, sei pieno di speranza. San Paolo è un «grande» nel dirci che la nostra è una speranza da condividere con tutti gli uomini.

Quindi, per concludere: il «che cosa» del Vangelo, dell’evangelizza­zione, è la grazia stessa. Paolo in definitiva non ci dice altro. 

 BRUNO MAGGIONI  – Via M. Rho, 11  22100 Como

Da: Vita Consacrata 45, 2009/1 pagg. 9-15

1 Testo riportante la prima Conferenza che mons. dr. Bruno Maggioni, biblista e professore presso la Facoltà Teologica e l’Università Cattolica del Sacro Cuore in Milano, ha dettato, quale prima Relazione, in occasione del “VII Symposium Laurentianum” dello Studio Teologico affiliato «Laurentianum» dei Cappuccini di Venezia, celebratosi a Padova lo scorso 17 genna­io 200S dal titolo: «Evangelizzare è la nostra vocazione! In preparazione all”‘anno paolino” 2008-2009» e moderato dal preside prof. dr. Gianluigi Pasquale OFM Cap. Il testo, i cui titoli sono redazionali, è stato rivisto dall’Autore che ne ha autorizzato la pubblicazione.  

Domande per l’approfondimento e il dialogo, anche via e-mail: 

1. Cosa, in questo articolo ti colpisce e perché ?

2. Come Don Orione avrebbe vissuto questo anno paolino e quali insegnamenti avrebbe tratto?

3. Vuoi scrivere una qualche tua reazione al tema, per farla circolare, in internet ?

4. Concludi con una preghiera come frutto della lettura e della riflessione.

 PROVINCIA SS. APOSTOLI PIETRO E PAOLO

Opera San Luigi Orione

PROGETTO DI RINNOVAMENTO

 

FORUM DI AGGIORNAMENTO A DISTANZA”

IV° anno

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