FW: F.A. Maggio 2009 – "Per il bene comune" – mons. Bruno Forte

 Tema di Maggio 2009: I Cattolici nella politica.

 In questi giorni i riflettori sono ancora puntati sull’Abruzzo e proprio dai vescovi abruzzesi vogliamo prendere suggerimenti per il comportamento dei cattolici in politica pensando anche alle prossime elezioni europee e amministrative di giugno. La partecipazione, credo, sia il primo dovere e poi, per chi è chiamato a questo alto servizio dell’impegno diretto, possono essere utili i suggerimenti che ci vengono da mons. Bruno Forte e dagli altri Vescovi Abruzzesi nei due documenti che allego, facendo naturalmente gli opportuni adattamenti alle altre situazioni italiane.

Per le elezioni europee riporto un passaggio della dichiarazione del Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea) del 20 marzo: La chiesa cattolica ha sostenuto fin dall’inizio il progetto d’integrazione europea e continua a sostenerlo ancora oggi. Tutti i cristiani hanno non solamente il diritto ma anche la responsabilità d’impegnarsi attivamente in questo progetto, esercitando il proprio diritto di voto”.

Riflessioni di mons. Forte ai politici e agli amministratori dell’arcidiocesi di ChietiVasto

Per il bene comune

La disaffezione alla vita politica manifestatasi nell’alto tasso di astensionismo alle recenti elezioni regionali costituisce una sfida a recuperare un profilo alto e al tempo stesso concreto dell’impegno per la cosa pubblica. Il profilo alto potrà essere perseguito se si affronterà con coraggio la «questione morale» negli scenari della politica, sia attraverso una forte riscoperta delle motivazioni etico-spirituali indispensabili all’impegno sociale, sia mediante una formazione permanente al servizio disinteressato e pronto della collettività. Il profilo concreto dell’agire politico si mostrerà credibile lì dove saranno riconosciute con chiarezza le mete cui tendere e sarà tenace l’impegno per pervenirvi, vissuto con un metodo di dialogo e confronto a tutto campo e con tutti gli interlocutori, praticato da maggioranza e opposizione.

Ai rappresentanti delle istituzioni, ai politici e agli amministratori della cosa pubblica, operanti sul territorio dell’arcidiocesi, che hanno risposto al mio invito per un incontro in questo inizio del 2009, propongo perciò due brevi riflessioni, su cui dialogare con loro: la prima, sulle qualità del cristiano impegnato al servizio della giustizia e della pace, tesa a evidenziare le motivazioni forti dell’azione politica e lo stile che ne consegue; la seconda, riguardante le priorità cui dedicarsi in vista del bene comune nella nostra regione e nella nostra provincia, quali appaiono con un carattere di particolare urgenza al mio occhio di pastore. Tutto questo affido a Dio nella preghiera di ogni giorno, mentre benedico ciascuno di coloro che vorranno impegnarsi con dedizione piena e sincera alla causa del bene comune. 

Da cristiani nell’impegno politico 

Uno sguardo anche rapido alla situazione dell’Italia d’oggi mostra con evidenza i tratti di un paese stanco e diviso. La stanchezza si profila non solo nei segni preoccupanti di recessione economica, nella perdita di competitività di molte delle nostre aziende, nella diffusa incapacità a elaborare e perseguire una progettualità di largo respiro, ma anche e soprattutto nella perdita di carica utopica, riscontrabile specialmente fra i giovani, nella penuria di speranza che si avverte tanto nella vita personale, quanto nell’impresa collettiva, nella disaffezione all’impegno politico, che sembra diventato sempre più monopolio di una casta, che si riproduce per clonazione, e spesso al ribasso. Una delle grandi ragioni di questa stanchezza diffusa è l’alto tasso di litigiosità della politica, espressione di divisioni profonde, radicate in logiche di parte prigioniere dei propri particolarismi e incapaci di alzare lo sguardo all’orizzonte più ampio ed esigente del bene comune. L’Italia di oggi appare più che mai un paese bisognoso di cambiamenti profondi, capaci di generare nuovo futuro.

A questo processo di trasformazione e di rinnovamento non dovrà mancare il contributo dei credenti: lo ha affermato con grande incisività Benedetto XVI nella sua recente visita in Sardegna: «Il mondo del lavoro, dell’economia, della politica […] necessita di una nuova generazione di laici cristiani impegnati, capaci di cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile» (Omelia, Santuario di Nostra signora di Bonaria, Cagliari, 7.9.2008). È interessante notare come il papa abbia sintetizzato efficacemente il bisogno urgente della società italiana in un sostantivo – «sviluppo» – che dice la profonda esigenza d’innovazione e di progresso, e in un aggettivo – «sostenibile» – che sottolinea l’urgenza di misurarsi con la realtà in vista di un uso equilibrato delle risorse, di una distribuzione equa dei vantaggi, di un’attenzione alla complessità culturale, sociale e storica, che non può essere in alcun modo banalizzata. Alla ricerca di soluzioni di sviluppo sostenibile dovrà partecipare efficacemente – nell’auspicio di Benedetto XVI – «una nuova generazione di laici cristiani impegnati». 

O r i z z o n t e   u l t i m o 

Il richiamo alla novità generazionale va riferito anzitutto a un dato cronologico, anche se il nuovo non potrà esaurirsi a questo livello: non si nota fra i grandi protagonisti della vita delle istituzioni e della società politica quel ricambio generazionale, che può garantire l’affiorare di istanze e urgenze nuove nelle posizioni dirigenziali della vita del paese; i meccanismi di ricambio appaiono appesantiti e in parte bloccati (si pensi solo all’eliminazione della «preferenza» nell’esercizio del voto); non si profilano nuove figure credibili di protagonisti dell’azione politica.

La novità dovrà evidenziarsi anche nel campo della mentalità, della «visione del mondo», dello stile dell’impegno sociale e della mediazione politica. La domanda che nasce diventa allora quella intorno alle caratteristiche che un cristiano dovrà sforzarsi di avere per porsi al servizio della collettività, in modo da apportare un contributo efficace alla ricerca delle opportune «soluzioni di sviluppo sostenibile».

Vorrei richiamare sette urgenze, che si traducono in altrettante, necessarie qualità umane e spirituali.

O r i z z o n t e   u l t i m o 

1. L’orizzonte ultimo: la prima caratteristica che un cristiano dovrà avere per contribuire al superamento della stanchezza e delle divisioni del paese è uno sguardo capace di spingersi lontano e in alto. La paura e l’abdicazione si vincono solo guardando a mete grandi, ardue, ma possibili. Occorrono testimoni di speranza, che diano soffio e slancio all’azione sociale e politica, sapendo guardare all’ultimo orizzonte e alla patria vera: donne e uomini capaci di pensare in grande, di osare per una meta bella e alta, di pagare il prezzo anche a livello personale per il conseguimento di un fine che valga la pena.

Per il cristiano questo vuol dire tenere desta nella mente e nel cuore la sua «riserva escatologica», quel potenziale cioè di attesa, di carica profetica, di speranza della fede, che impedisce di arrendersi di fronte alle esigenze – spesso brutali – della Realpolitik o degli interessi di corto raggio degli egoismi personali o collettivi. La speranza dei grandi orizzonti di giustizia e di pace per tutti, il desiderio dello shalom voluto dal Signore, è la prima e profonda molla di un credente che voglia impegnarsi al servizio degli altri: «Beati coloro che sognano: porteranno speranza a molti cuori e correranno il dolce rischio di vedere il loro sogno realizzato» (dom Helder Camara). Il cristiano vive ogni spazio di vita e d’impegno per gli altri illuminato dall’«aurora dell’atteso, nuovo giorno che colora ogni cosa della sua luce» (Jürgen Moltmann), il giorno del Dio che viene, desiderato, preparato e atteso nella speranza della fede. Come afferma Benedetto XVI nell’enciclica Spe salvi, «il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto e accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino» (30.11.2007, n. 1; Regno-doc. 21,2007,649). 

G i u d i z i o  m o r a l e 

2. La necessità del giudizio morale: chi misura costantemente la prassi sociale e politica con l’orizzonte della speranza più grande e affidabile, non si limiterà a giudizi meramente pragmatici nelle scelte da fare. La tattica dei piccoli passi deve unirsi alla strategia delle grandi mete, dei sogni e delle speranze collettive. C’è bisogno di protagonisti capaci di misurarsi costantemente con l’assolutezza dei giudizi etici, con le esigenze dell’amore di Dio e dell’obbedienza alla sua volontà. Non si vive di solo pane: occorre promuovere con la vita la dignità della vita, con il soddisfacimento dei bisogni materiali la cura delle esigenze spirituali. Come affermava il gesuita tedesco Alfred Delp, morto martire della barbarie nazista in campo di concentramento: «Il pane è importante, la libertà è più importante, ma la cosa più importante di tutte è la fedeltà mai tradita e l’adorazione vera». Abbiamo bisogno di uomini e donne disposti a soffrire per la verità, pronti a non cedere al compromesso morale, decisi nel rifiutare la menzogna e il vantaggio egoistico: in una parola, disposti a misurarsi costantemente con il giudizio di Dio sulla storia e sulle singole vicende umane. Donne e uomini eticamente impegnati, che non sbandierino valori non vissuti in prima persona, almeno sul piano della tensione e dello sforzo onesto. C’è necessità di chi parli di custodia della vita impegnandosi a difendere ogni vita, in ogni fase, contro la violenza dell’aborto e la disumanità dell’eutanasia, come contro la barbarie del terrorismo e della guerra, specialmente della cosiddetta guerra preventiva intesa come strumento di pace. 

Q u a l e   f i n e 

3. Il bene comune come fine: chi si impegna al servizio del bene comune sull’onda della speranza più grande e nella tensione di un giudizio etico costantemente sottoposto al vaglio del disegno di Dio sulle vicende umane, non potrà non proporsi come scopo prioritario del suo agire il servizio al bene comune. Giustizia per tutti, pace come frutto di dialogo, perdono ricevuto e donato, promozione e rispetto della dignità di ciascuno, sono i volti concreti del bene comune, cui tendere con il proprio impegno. Così la politica diventa altissima forma di carità e di possibile santità: lo ricordava il grande pontefice Paolo VI, in un testo d’immutata attualità: «Prendere sul serio la politica nei suoi diversi livelli – locale, regionale, nazionale e mondiale – significa affermare il dovere dell’uomo, di ogni uomo, di riconoscere la realtà concreta e il valore della libertà di scelta che gli è offerta per cercare di realizzare insieme il bene della città, della nazione, dell’umanità. La politica è una maniera esigente – ma non è la sola – di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri» (PAOLO VI, Octogesima adveniens nell’80° anniversario dell’enciclica Rerum novarum, 14.5.1971, n. 46; EV 4/772). Condizione indispensabile di un autentico impegno al servizio del bene comune è l’essere disinteressati, non attaccati al denaro e al potere, umili e senza pretese: «Chi è troppo attaccato al denaro – scriveva don Luigi Sturzo, straordinario ispiratore dell’impegno politico dei cattolici – non faccia l’uomo politico né aspiri a posti di governo. L’amore del denaro lo condurrà a mancare gravemente ai propri doveri» (L. STURZO, Il manuale del buon politico, a cura di G. De Rosa, San Paolo, Cinisello Balsamo 1996, 132). E Desmond Tutu, vescovo anglicano premio Nobel per la pace per il suo impegno contro l’apartheid in Sudafrica, a proposito del potere affermava: «Gesù cercò di diffondere un nuovo paradigma del potere: potere e forza non sono finalizzati al conseguimento del proprio tornaconto personale, non sono strumenti di dominio, non devono servire ad accrescere la nostra autorità, in spregio a qualsiasi legge o convenzione […]. Il vero potere lo si scopre donando la propria vita, servendo il più debole, il più indifeso» (D. TUTU, Anche Dio ha un sogno. Una speranza per il nostro tempo, L’àncora del Mediterraneo, Napoli 2004, 103). Applicando questo criterio alla scena politica delle nostre democrazie, Tutu aggiungeva: «I veri leader devono prima o poi convincere i loro seguaci che non si sono buttati nella mischia per interesse personale, ma per amore degli altri. Niente può testimoniarlo in modo più convincente della sofferenza» (ivi, 105s). 

Q u a l e   m e z z o 

4. La parola come mezzo: per il cristiano lo strumento di cui servirsi per la realizzazione dell’impegno sociale e politico è eminentemente la parola. «Appartenere alla massa e possedere la parola»: così don Lorenzo Dilani descriveva le condizioni fondamentali di un autentico servizio ai poveri. Il cristiano – solidale con la massa dei bisogni umani – è generato alla fede dalla parola di Dio, e sotto il giudizio di questa Parola vuole vivere e morire. Lampada ai suoi passi è la Parola, nutrimento della sua speranza, forza nella sua debolezza. Credere nella potenza della Parola rivelata vuol dire però anche credere nella capacità della parola umana di farsi veicolo di verità, di giustizia e di amore. E questo significa credere nella fecondità e nell’efficacia del buon uso della ragione, di una ragione, cioè, rigorosamente aperta all’ascolto di Dio e degli uomini e radicalmente impegnata a porsi le vere domande e a cercare le risposte vere. La parola sarà di volta in volta analisi, lettura, interpretazione, giudizio, decisione: essa veicolerà denuncia, annuncio, proposta, giudizio di condanna e di approvazione. Il cristiano che voglia impegnarsi per la causa del bene comune, al servizio della giustizia per tutti, dovrà coltivare al massimo l’amore alla parola, anzitutto alla parola di Dio, ma anche a tutte le espressioni migliori della parola umana: dai poeti ai letterati, dagli analisti e commentatori politici ai filosofi e ai teologi, agli economisti e ai sociologi, a tutti ricorrerà per imparare a discernere nella complessità della vita e della storia i segni dei tempi, le speranze e le attese, ciò che ha bisogno di cambiamento e ciò che invece va mantenuto.

Allargare gli spazi della razionalità, nella fiducia profonda che fede e ragione – lungi dall’opporsi – si nutrano e promuovano reciprocamente; stimolare il dialogo a tutti i livelli, privilegiando la concertazione alle avventure dispotiche ed esclusivamente di parte; dare voce a chi non ha voce, parola e linguaggio a chi non ce l’ha; osare perfino di essere parola viva al servizio della causa di Dio e della verità, soprattutto in questioni etiche in cui siano in gioco valori assoluti, non negoziabili: queste sono le sfide cui si apre chi sceglie la parola come strumento di azione politica e di servizio sociale. La fiducia nella parola, infine, deve esprimersi anche in un parlare semplice, schietto e diretto, totalmente lontano dal «politichese» oggi di moda: è Giorgio La Pira a raccontare un episodio, che può chiarire bene questo punto.

Un giorno egli si era recato a trovare il filosofo marxista György Lukács per parlare con lui della pace nel mondo. Trovandosi dinanzi a un tale pensatore, La Pira pensò bene di dover disquisire dottamente di filosofia.

Fu allora che Lukács lo interruppe bruscamente: «Professore, lasci stare la filosofia, io sono vecchio. Mi parli di Isaia». La Pira ricordava con rimorso struggente quell’incontro: «Per fare la figura dell’uomo colto, avevo perso tanto tempo con lui a parlare di filosofia… peccato che morì pochi mesi, e di Isaia non ebbi molte occasioni di parlargli. Ah, la vanità!…». L’auspicio è che il politico cristiano impari a parlare del profeta Isaia, e soprattutto come parlava lui, con parole vere, dirette, capaci di mordere la realtà e di entrare nelle menti e nei cuori con semplicità. 

S o l i d a l i 

5. Comunione e solidarietà: il servizio alla giustizia e alla pace non si attua come avventura solitaria, ma ha bisogno della comunità da cui attingere ispirazione e forza e con cui verificare l’onestà e l’efficacia dell’impegno. Il cristiano impegnato nell’azione sociale e politica non dovrà mai servirsi della comunità a proprio vantaggio, in forma strumentale ed egoistica: ma non potrà fare a meno della comunità della Chiesa, dove apprende il linguaggio della giustizia e della pace volute da Dio e dove può aprirsi a quella correzione fraterna, di cui ha quanto mai bisogno. Due atteggiamenti opposti hanno danneggiato questo rapporto nella storia del nostro paese: da una parte, il collateralismo, che ha spinto talvolta i cristiani a ritenere un unico partito politico braccio secolare della gerarchia e degli interessi della comunità cristiana, e i politici che si fregiavano del nome cristiano a considerare la comunità come fonte di facili consensi e di alleanze sicure. Dall’altra, il disimpegno verso l’azione politica, che ha portato al disinteresse e all’abbandono di quell’atteggiamento di vigilanza critica e di attenzione alle ragioni dei più deboli, che dovrebbe essere sempre vivo nel popolo dei credenti.

Entrambi questi atteggiamenti sono sbagliati: occorre costruire un rapporto di fiducia e di stimolo critico fra quanti nella comunità si riconoscono nella vocazione al servizio politico e sociale e la comunità stessa nel suo insieme. Occorre promuovere appuntamenti di riflessione comune e di dialogo, facendo tesoro del patrimonio straordinario costituito dalla dottrina sociale della Chiesa, libera tanto dalla cattura di forme ideologiche collettivistiche, rivelatesi insufficienti e alienanti, quanto da quella di un liberismo senza regole, la cui debolezza si è manifestata ancora una volta nella crisi della finanza mondiale cui stiamo assistendo, con le drammatiche conseguenze che essa potrà avere sull’economia reale. In questa luce, si comprende che ciò di cui abbiamo bisogno non è tanto un partito unico dei cattolici, quanto una presenza dei cattolici nelle varie espressioni partitiche, per portarvi trasversalmente il fermento della carità evangelica e delle esigenze etiche e spirituali fondamentali, senza cui la vita umana in tutte le sue fasi ed espressioni non può essere né promossa né tutelata. In tal senso, la comunità cristiana dovrà poter riconoscere i portatori delle sue convinzioni non solo in chi si dichiara favorevole a esse, ma soprattutto in chi – dichiarandosi tale – dimostra anche di vivere ciò che professa, e mentre fa scelte per la vita nell’esistenza personale e nella legislazione dello stato, tutela e difende la dignità della vita umana anche con il rifiuto della violenza, della guerra, dei pregiudizi razziali e con l’impegno per il superamento dell’ingiustizia sociale in ogni sua forma. Non andrà mai dimenticato che la solidarietà verso il più debole è cartina di tornasole per ogni impegno a difesa della vita! 

S t i l e   d i   v i t a 

6. Lo stile di vita: un simile impegno nel servizio sociale e politico esige un corrispondente stile di vita. Questo stile non è qualcosa che si improvvisi, ma un insieme di comportamenti, di modi di pensare e di agire, che si matura in anni di cammino, alla scuola di modelli veri e significativi. Questi modelli non sono mancati nella storia del cattolicesimo democratico e sociale: basti pensare a figure come quelle di Alcide De Gasperi e Giorgio La Pira! Che cosa ci insegnano? Quale stile di vita li ha caratterizzati, tanto da costituire un’eredità cui ispirarsi? Essi hanno unito la fede vissuta e la carità operosa a un rigoroso senso della laicità, intesa come professionalità e competenza nell’azione. È il concilio Vaticano II a ricordarci che «è dalla stessa loro condizione di creature che le cose tutte ricevono la loro propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine; e tutto ciò l’uomo è tenuto a rispettare, riconoscendo le esigenze di metodo proprie di ogni singola scienza o arte» (cost. past. Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, n. 36; EV 1/1431).

Occorre evitare tanto il clericalismo, che vede l’operatore sociale e politico passivamente dipendente dai dettami della gerarchia o dagli interessi contingenti della comunità, quanto il laicismo, che – postulando una falsa idea dell’autonomia del mondo – intende relegare la dimensione della fede e dell’etica unicamente nella sfera del privato e dell’individuale. Dall’esperienza quotidiana di Dio, vissuta nella preghiera e nella carità, i santi della politica hanno attinto la forza del loro impegno generoso al servizio del bene comune, in difesa soprattutto dei poveri e dei deboli. Il loro disinteresse verso il denaro e il potere è stata la forza della loro azione, una delle sorgenti della loro autorevolezza morale, riconosciuta anche da chi non la pensava come loro. E dall’incontro con Dio, essi hanno attinto anche quel senso della cattolicità, che sa temperare le giuste esigenze della situazione locale con quelle della mondialità e abbraccia sempre inseparabilmente il locale e il globale: «Ogni 3,6 secondi – scrive ancora Desmond Tutu – qualcuno muore di fame, e in tre casi su quattro si tratta di bambini al di sotto dei cinque anni. Se comprendessimo di essere una sola famiglia, non consentiremmo che a nostro fratello o a nostra sorella accadesse una cosa del genere» (TUTU, Anche Dio ha un sogno, 32). 

S a n t i t à 

7. Il primato della santità: alla luce delle caratteristiche esposte, non esiterei a parlare dell’urgenza di un primato da dare alla santità in politica e nell’impegno per la giustizia sociale. Nell’incipit della sua opera Rivoluzione personalista e comunitaria, Emmanuel Mounier pone le parole di Charles Péguy:

«La rivoluzione o sarà morale o non sarà affatto» (Rivoluzione personalista e comunitaria, Comunità, Milano 1955, 21). E chiarisce nella pagine di questo importante libro che solo chi si fa rivoluzionare da Dio sarà in grado di rivoluzionare il mondo: «Si pretende che la rivoluzione sia uno sconvolgimento di fiamme e di fuoco. No, la rivoluzione è un tumulto ben più profondo.

Metanoéite. Mutate il cuore del vostro cuore. E, nel mondo, muterete tutto quello che è stato da esso contaminato» (ivi, 40). A chiunque fra i cristiani si impegni per la giustizia nell’azione politica o sindacale, come nel servizio sociale, vorrei ricordare che tutte le caratteristiche precedentemente indicate per il suo impegno si riassumono nella convinzione di dover rispondere a una sola chiamata, valida per tutti coloro che credono, quale che sia lo specifico della loro vocazione e missione: questa chiamata è la santità. È ancora Mounier a scrivere parole folgoranti come queste: «In questo mondo inerte, indifferente, incrollabile, la santità è ormai la sola politica valida e l’intelligenza, se vuole accompagnarla, deve conservare la purezza del lampo» (ivi, 43). A costo di parere ingenuo e sognatore, chiedo a Dio di suscitare politici e sindacalisti santi al servizio della nostra Italia. Vorrei chiederlo insieme a quanti queste mie parole potranno raggiungere, perché so che «chi sogna da solo, è un sognatore; ma se si sogna insieme, il sogno può diventare realtà». 

Quattro priorità per l’Abruzzo oggi 

La lista delle mete cui tendere con impegno generoso per il bene della nostra regione e della nostra provincia potrebbe essere piuttosto lunga. Mi pare tuttavia importante indicare a tutte le parti politiche almeno quattro priorità, che sembrano profilarsi con un carattere di particolare gravità e che richiedono pertanto interventi tempestivi e urgenti:

L a v o r o 

1. La prima è il lavoro: sebbene la qualità dei nostri lavoratori sia ampiamente riconosciuta dagli stessi datori di lavoro, la crisi economico-finanziaria in atto nel «villaggio globale» si sta ripercuotendo inevitabilmente anche sul tessuto produttivo del nostro Abruzzo. La perdita dei posti di lavoro, il ricorso alla cassa integrazione e alla sospensione della produzione, sono dati di fatto, che gettano profonde inquietudini nella vita delle famiglie e in particolare in quella dei giovani. Se a tutti è chiesto di stringere la cinghia e di sviluppare le virtù della sobrietà e della solidarietà, indispensabili soprattutto in tempi di crisi, per gli amministratori della cosa pubblica si impongono vigilanza e prevenzione.

Occorre sostenere le imprese attraverso interventi mirati nel settore della formazione, dell’innovazione tecnologica e della qualità della produzione. È urgente promuovere la concertazione fra le varie agenzie imprenditoriali, sindacali e formative (con speciale attenzione alla scuola e all’università) per individuare settori nuovi d’intervento, atti a promuovere l’occupazione (dal turismo, ai poli industriali, all’ulteriore sviluppo dell’agricoltura, dell’artigianato e del commercio legati ai beni della nostra terra). Un campo su cui concentrare gli sforzi è anche quello relativo alla sicurezza sul lavoro e alla prevenzione degli infortuni. Alla luce di queste urgenze, lo stile di vita dei politici dev’essere più che mai credibile, e perciò sobrio e disinteressato. A essi per primi è giusto chiedere di fare sacrifici e di rinunciare a vantaggi personali, mentre si impegnano a servire il bene comune e a promuovere il lavoro di tutti. Chi difende e promuove il lavoro, difende e promuove la dignità della persona umana e il futuro della collettività! 

S a n i t à 

2. Particolarmente colpito dalle recenti vicende giudiziarie nella nostra regione è l’ambito della sanità: pur convenendo sulla necessità del riassetto della rete ospedaliera, non posso non segnalare la necessità dell’attenzione ai bisogni della gente sul territorio, perché essi appaiono a volte sottovalutati a favore di una logica aziendale che non si addice ai doveri di un servizio pubblico. La riduzione del tasso di ospedalizzazione è una meta sostenibile, purché non avvenga a costo dei tempi minimi necessari al ristabilimento dei pazienti o a scapito della tempestività dell’intervento connessa alla patologia specifica. La revisione delle convenzioni con il sistema delle cliniche private è improcrastinabile e deve mirare a privilegiare il servizio pubblico, il soddisfacimento dei bisogni reali della salute e la qualità delle prestazioni. Lo sviluppo di regimi di assistenza alternativi al ricovero ospedaliero richiede personale qualificato e strutture ben distribuite sul territorio, anche mediante la razionalizzazione dei servizi. Il contenimento della spesa farmaceutica va senz’altro attuato, ma esige efficaci sistemi d’informazione e di educazione alla sobrietà terapeutica. In tutti questi aspetti, al centro dell’attenzione e del rispetto deve essere sempre la persona dell’ammalato e la sua dignità, quale che ne sia la storia, la cultura, la provenienza, l’attività. Chi dovesse speculare sulla salute altrui, non potrebbe sottrarsi al più severo dei giudizi morali, e in ultima analisi al giudizio di Dio, cui nulla sfugge. 

A m b i e n t e 

3. Fra le priorità meritevoli di attenzione c’è senz’altro quella dell’ambiente: la tutela e la promozione di quello che è l’autentico patrimonio collettivo della nostra gente di Abruzzo è dovere primario di ogni amministratore. Un pericolo crescente cui badare con attenzione è quello dell’emergenza rifiuti: se è vero che occorre rafforzare la filiera del ciclo integrato dello smaltimento e realizzare una campagna d’informazione nelle famiglie e nelle imprese per ridurre la produzione dei rifiuti, unitamente al forte impulso da dare alla raccolta differenziata, è necessario non di meno creare una rete efficiente di discariche, lavorando al contempo alla realizzazione di termovalorizzatori dall’avanzata tecnologia e dall’impatto ambientale sicuro. L’urgenza dell’intervento sulla distribuzione e sulla certificazione della qualità dell’acqua è parimenti improcrastinabile. Nel campo dell’energia lo sviluppo delle fonti rinnovabili – da quella eolica, a quella solare, a quella idroelettrica – non potrà non caratterizzare una terra generosa come la nostra. Ciò renderà ancora più evidente il rifiuto da opporre alla realizzazione di opere a impatto ambientale fortemente negativo: in tal senso, ho apprezzato l’orientamento del nuovo presidente della Regione, il quale nel suo programma elettorale afferma che «particolare attenzione merita il progetto definito “Centro oli”: alla luce di una rigorosa analisi della questione si ritiene che l’intervento, per i sacrifici che comporta su un territorio ad alta vocazione agricolo-turistico-ambientale, non debba essere perseguito». Tutelare l’ambiente è dovere morale di tutti e atto di giustizia e di amore verso le generazioni presenti e future. 

G i o v a n i 

4. Infine, vorrei proporre come degna del massimo impegno la priorità rappresentata dai giovani: il primo dato impressionante è la loro scarsità numerica. Una preziosa indagine, condotta dalla cattedra di sociologia dell’Università G. D’Annunzio sotto la direzione del prof. Gabriele Di Francesco su I giovani nella Chiesa locale. Religiosità e modelli di partecipazione giovanile nell’arcidiocesi di Chieti-Vasto (Franco Angeli, Milano 2008), ha messo in luce che, nel territorio diocesano a me affidato, su 310.000 battezzati vi sono appena 19.000 giovani sotto i 24 anni (di cui circa 12.000 ragazze e appena 7.000 ragazzi). Se non vogliamo andare verso una società di anziani, difficilmente sostenibile nei suoi bisogni collettivi, occorre incoraggiare la natalità con politiche mirate ed efficaci a sostegno delle famiglie e a favore dei figli. Grande attenzione merita poi il campo dell’educazione e della formazione: il sostegno alla scuola e all’università, come a ogni attività educativa (ad esempio nel campo dello sport) non può essere dilazionato. In un’epoca finalmente libera da pregiudizi ideologici, occorre favorire la crescita della formazione alla spiritualità, inseparabile da quella culturale e umana. Chiedo agli amministratori di considerare le parrocchie e i centri educativi d’ispirazione cristiana come degli autentici poli di riferimento, con cui collaborare e da sostenere con fiducia. La valorizzazione poi dei beni culturali e del patrimonio artistico, in gran parte di carattere religioso, deve essere intesa come un servizio a tutta la nostra gente, di cui questi beni sono patrimonio prezioso, capace di rafforzare la coesione sociale e di migliorare la qualità della vita per tutti.

Scommettere sui giovani è dare fiducia alla vita e organizzare la speranza! Da pastore, in ascolto della gente, non ignoro molte altre urgenze e necessità (penso ad esempio all’accoglienza degli immigrati, la cui presenza è in crescita nella regione, anche se non comparabile ad altre situazioni presenti nel paese; penso alla difficoltà per molte famiglie di arrivare a fine mese, tenendo conto dei costi della vita e della scarsità dei guadagni…). Ho voluto segnalarne soltanto alcune, che per la dimensione collettiva e diffusa appaiono veramente prioritarie. Chiedo a ciascuno di rimboccarsi le maniche, prestando il proprio servizio con generosità e in collaborazione con tutti, superando litigiosità e competizioni dannose al bene comune. Prego parimenti il Signore affinché la Chiesa possa essere non solo vicina alla sua gente, ma anche interlocutrice affidabile nel servirla in collaborazione con tutti coloro che hanno responsabilità per essa. In questo spirito, ricco di fiducia e di speranza, ma anche di volontà d’impegno comune per il bene di tutti, auguro a ciascuno un anno di grazia e di operosità solidale nel nome del Signore, al servizio della nostra gente.

 Chieti, 11 gennaio 2009.

BRUNO FORTE,

arcivescovo metropolita di Chieti-Vasto

 (Da Il Regno – Documenti 3/2009 pagg. 88-93) 

Al servizio del bene comune 

L’inizio del Nuovo Anno 2009, pur segnato da una preoccupante recessione economica e da una crisi che già sta incidendo negativamente sulla serenità di tante persone, è occasione propizia per ravvivare la speranza ritrovando le ragioni vere di un rinnovato impegno.

Come Vescovi e Pastori non possiamo ignorare la sofferenza e il disagio delle famiglie che vedono diminuire sempre più i mezzi indispensabili di sussistenza, né possiamo restare indifferenti davanti alla disaffezione verso la partecipazione democratica alla vita del Paese, quando l’alta percentuale di astensione al voto manifesta la sfiducia verso le istituzioni politiche.

Per questo abbiamo deciso di proporre una riflessione alle nostre comunità e a tutti gli uomini e le donne di Abruzzo e Molise perché ci sentiamo interpellati con loro in un esame di coscienza che, lungi dal farci sentire giudici gli uni degli altri, può costituire la base di rilancio e di rinnovato impegno per tutti. 

  1. La perenne attualità delle Beatitudini evangeliche.

Le Beatitudini si ripropongono con urgenza alla nostra coscienza. Tutti siamo chiamati a verificarci sulle parole di Gesù: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.

Evochiamo soltanto qualcuna delle beatitudini.

La povertà, quella che incrociamo lungo le strade, ma anche come scelta di una vita più sobria e aperta alla condivisione, mai al di sopra delle proprie possibilità; la mitezza, che è il contrario di arroganza, orgoglio, voglia di predominio sugli altri; l’impegno per la pace, non solo a livello mondiale, ma anche familiare, comunitario, politico; la purezza, come trasparenza di vita, di comportamenti, di fedeltà a Dio e agli uomini; la misericordia, cioè il sentirsi tutti responsabili del bene altrui. 

  1. Il “bene comune”: una responsabilità che riguarda tutti.

Il bene comune impegna tutti i membri della società: nessuno è esentato dal collaborare, a seconda delle proprie capacità, al suo raggiungimento e al suo sviluppo, «con umiltà e mitezza, competenza e trasparenza, lealtà e rispetto verso gli avversari, preferendo il dialogo allo scontro, rispettando le esigenze del metodo democratico, sollecitando il consenso più largo possibile per l’attuazione di ciò che  obiettivamente  è un bene per tutti»1.

Questa convinzione, fondamentale per la vita di una società, attraversa oggi una crisi profonda perché si va diffondendo l’idea che prioritario sia il profitto privato da ricercare a tutti i costi, specie quando si assumono delle responsabilità politiche. Gli scandali, che vengono alla luce nel nostro Paese senza più distinzioni di localizzazioni geografiche o appartenenze politiche, contribuiscono a consolidare un’opinione pubblica non adeguatamente informata e abituata a generalizzare. Ne consegue il crescente distacco tra Paese reale e Paese legale e l’aumento del numero di coloro che prendono le distanze dalla partecipazione attiva alla vita democratica.

Come Vescovi siamo già intervenuti alcuni mesi fa sulla “questione morale” nella vita politico-amministrativa. L’alta percentuale di astensione dal voto, nelle recenti consultazioni regionali in Abruzzo, è un dato molto preoccupante che, lo diciamo con sofferenza e chiarezza, non può essere giustificato dalla volontà di prendere distanze da comportamenti di singoli amministratori o politici.

La prospettiva in cui dobbiamo vivere l’impegno per il bene comune ci viene suggerita dall’apostolo Paolo: l’amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l’amore (Romani 13,10). Egli in diverse occasioni affronta il problema dei rapporti del credente con l’autorità politica e richiama la responsabilità a collaborare nel rispetto reciproco e non avendo altro debito con alcuno, al di fuori della carità. 

  1. La politica come servizio, espressione della carità

In questo contesto intendiamo condividere la diffusa esigenza di un rinnovamento morale e generazionale della politica. Non si tratta di prendere posizione a favore o contro l’uno o l’altro schieramento partitico o politico, quanto piuttosto di richiamare quei valori fondamentali e quelle norme di comportamento che ogni elettore si aspetta da colui in cui ha riposto la fiducia per l’amministrazione della cosa pubblica.

La politica eticamente sostenuta richiede sempre più persone capaci di governare, cioè capaci di discernere in maniera lungimirante, valorizzando il positivo, intuendo il futuro, avendo uno sguardo d’insieme.

Con questo messaggio, intendiamo così farci voce del bisogno di nuova moralità che si avverte nella vita sociale della nostra gente, e ribadiamo quanto già affermato in luglio circa «le preoccupazioni per le ricadute degli eventi in atto, soprattutto sulla situazione dell’assistenza sanitaria, in specie ai più deboli, nonché sullo sviluppo economico della regione, con conseguenze drammatiche sul lavoro e la vita di tante famiglie»2.

Con spirito di collaborazione ci rivolgiamo anche a quanti sono stati eletti, e perciò chiamati ad esercitare un preciso servizio a favore della comunità regionale, e a quanti si preparano a proporsi come amministratori pubblici nelle prossime elezioni europee e amministrative. Non intendiamo dare loro lezioni su ciò che dovranno fare, quanto piuttosto per incoraggiarli in questo momento non facile per la vita del Paese. Proponiamo alla loro riflessione un decalogo ispirato alla dottrina sociale della Chiesa. 

  1. Il potere è al servizio del bene comune e la politica è il più esigente esercizio di carità genuina verso le categorie più deboli: i poveri, gli umili, i piccoli. L’uso del pubblico potere e del pubblico denaro va sempre orientato per il bene comune e non per favorire affari personali e di gruppo o per creare clientele. La trasparenza riguardo i patrimoni personali potrà incoraggiare la fiducia degli elettori.

  2. La politica attiva comporta una crescita di responsabilità e forme di democrazia ascendente che prevede luoghi permanenti e periodici di partecipazione: circoli, associazioni culturali, volontariato, società civile. La politica ha ancora il compito di garantire la partecipazione responsabile ai soggetti sociali, avendo di mira e privilegiando gli interessi delle persone e delle comunità intermedie. Nei confronti di queste essa si pone come sostegno e coordinamento nel rispetto del principio di sussidiarietà e di un sano pluralismo personalista e comunitario.

  3. Il rispetto delle altrui posizioni favorisce il dialogo con amici e avversari; il rifiuto della rissa e dell’intolleranza sviluppa una sana competizione delle idee per risolvere i problemi, riducendo la conflittualità esasperata, incrementando la collaborazione con spirito costruttivo sui temi del bene comune.

  4. Il requisito della coerenza ha conseguenze sui comportamenti nella  vita pubblica. I mutamenti di schieramento, sempre possibili per motivi di coscienza, dovrebbero richiedere le dimissioni dall’incarico. La coscienza politica deve favorire e promuovere i valori della persona, quali la dignità, il diritto al lavoro, la giustizia, la promozione della cultura, la crescita della moralità civile, la custodia della famiglia, il rispetto della vita e la crescita della sua qualità, la non violenza, la libertà di pensiero, di azione e di religione.

  5. Va ribadito il rifiuto e la denuncia di comportamenti immorali e disonesti, come la corruzione, la concussione, la menzogna, la calunnia, il clientelismo, l’associazione per delinquere, l’abuso e la truffa. A tal fine potrà essere di aiuto l’elaborazione di codici etici condivisi.

  6. Occorre impegno per favorire la cultura della legalità, che rispetti e faccia rispettare le regole e le procedure democratiche. Gli eletti a cariche pubbliche avvertano il dovere di essere testimoni esemplari del rispetto delle leggi.

  7. Gli amministratori abbiano una adeguata preparazione politica, giuridica, amministrativa, storica, economica e socio­logica. A tal fine si incoraggino i luoghi e strumenti di formazione permanente. Gli incarichi di secondo livello vanno affidati a persone competenti, di provata moralità e testimoniata onestà professionale.

  8. La selezione della classe dirigente amministrativa premi il merito, la competenza e rifugga dall’affidarsi a simpatie, legami perso­nali o familiari, ripicche, vendette.

  9. L’impegno politico amministrativo richiede un limite di mandato e periodi di tempo determinato, con fasi opportune di astensione tra incarichi dello stesso tipo.

  10. L’attenzione ai problemi specifici del territorio in cui si opera va coordinata e misurata sulla base del principio di sussidiarietà con una visione aggiornata alle soluzioni nazionali e internazionali. La presenza assidua negli organismi amministrativi e di governo va apprezzata come va condannata ogni prassi di assenteismo 

Quanto detto rimanda all’appello della coscienza morale rettamente formata. Ciascuno si sforzi di agire sempre in obbedienza alla Verità, alla Giustizia, al Bene. Come credenti, ricordiamo l’urgenza di misurarsi costantemente sul giudizio di Dio.

A questo criterio intendiamo ispirare le nostre scelte personali come quelle delle chiese che ci sono affidate. 

Chieti 25 Febbraio 2009

 Arcivescovi e Vescovi della Conferenza Episcopale Abruzzese-Molisana  

1 Nota Pastorale “Con il dono della carità dentro la storia. La chiesa in Italia dopo il convegno di Palermo”, 1996, n.33

2 Una nuova sobrietà per abitare, n. 4

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *