Messina – Cultura Filosofia Vita «La verità non può essere mai occultata»

2013_11_05-RosaBianca-Locandina Heller da Mazzù

2013_11_05-HELLER-ImieiOCCHIhannoVISTO5 novembre 2013 Aula magna Università di MessinaUn grande evento per l’Università e l’intera Città di Messina. Così, il prof.re Giovanni Cupaiolo, nell’iniziale presentazione, ha definito l’incontro con la grande filosofa Agnes HELLER. L’aula magna si presenta gremita in ogni spazio, giovani universitari, cultori, professori giuristi ed anche un gruppo di persone non udenti che guarderà i gesti della traduttrice simultanea che da le spalle al palco ma trasmette con dolce vigoria le parole pronunciate dai relatori. L’altro bravissimo, dott Daniele Mercadante, traduttore in diretta-differita è posto proprio di fianco alla Heller. Nell’ordine hanno preso la parola la prof.ssa Domenica Mazzù  (CESMS), il 2013_11_05-HELLER-ImieiOCCHIhannoVISTO2013_11_05-HELLER-ImieiOCCHIhannoVISTOprof.re Giulio M Chiodi (CESMS). il dott. Urbano Tocci (RB), la  prof.ssa Paola Ricci Sindoni e la  dott.ssa Giovanna Costanzo. Poi è arrivato il momento dell’ascolto. Direttamente dalla fonte, con prorompente verve, l’autrice ha raccontato non solo questo ultimo libro intervista, ma si è soffermata per chiarire in modo completo il suo pensiero. Al termine, le sono state rivolte moltissime 2013_11_05-HELLER-ImieiOCCHIhannoVISTO2013_11_05-HELLER-ImieiOCCHIhannoVISTOdomande. Ad ognuna di esse non solo ha risposto con attenzione, ma le ha arricchite con ulteriori pensieri e riflessioni.

Promotori dell’evento le Associazioni la “Rosa Bianca” e “Centro Europeo di Studi su Mito e Simbolo”– (CESMS)
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3 Comments on “Messina – Cultura Filosofia Vita «La verità non può essere mai occultata»”

  1. Il 5 novembre 2013 sono trascorse in fretta le tre ore e più dedicate all’incontro con la filosofa ungherese Ágnes Heller. Promotori dell’evento le associazioni “La Rosa Bianca” e il “Centro Europeo di Studi su Mito e Simbolo” (CESMS), in collaborazione col Dipartimento di filosofia dell’Ateneo di Messina. Dopo i saluti ufficiali l’argomento si è andato dipanando con gradualità: ognuno ha messo in luce un aspetto della bella figura e del pensiero di Ágnes Heller. Domenica Mazzù ha definito la filosofa una utopista pratica che pur in mezzo alle tragedie del Novecento, sulle quali non ha chiuso gli occhi per non vedere, ha conservato e nutrito il sogno di libertà, libertà di sognare la libertà che nessun regime può proibire. Urbano Tocci per la “Rosa Bianca” e Giulio M. Chiodi per il “CESMS” hanno messo in risalto quanto sia importante la cultura e la riflessione filosofica e l’impegno sociale anche e soprattutto nei periodi travagliati da problemi gravi quali la povertà, la disoccupazione, il razzismo e il continuo rilancio della guerra. (Carmelo Labate)

  2. Giovanna Costanzo ci ha introdotti nell’abbondante produzione della Heller, donna, filosofa e attivista politica, edita lungo tutto il Novecento, fino a quest’ultimo lavoro «I miei occhi hanno visto». Per questo viene ritenuta una privilegiata interlocutrice e Maestra nel dibattito sulla problematicità dell’etica. Fu allieva e collaboratrice di G. Lukacs e insegnò a New York sulla cattedra che era stata di Hannah Arendt.
    In un tempo in cui l’ottundimento delle coscienze rischia di rendere sempre più fosco il nostro presente, il pensiero della Heller si caratterizza per l’intreccio fra profondità teoretica e saggezza pratica. La filosofia non detta norme; è il tentativo di comprendere il proprio tempo, senza però farsi risucchiare da esso. Il filosofo aiuta a far fruttificare i talenti di ognuno senza dimenticare il rispetto e la cura della propria «comunità di affetti».
    A Roma l’ottantenne Heller incanta la platea di studiosi mentre parla di filosofia come “genere letterario”. Nel saggio, Invito a pranzo da Kant, Heller dice che i criteri fondamentali per una buona conversazione e per la piacevolezza dello stare insieme sono «l’autonomia, il pluralismo e la libertà di spirito». Nel reciproco piacere derivante dalla presenza dell’altro la «cultura, intesa come sapere, diventa esperienza condivisa di comunicazione che può essere ricordata, ri-pensata, rigoduta». All’incalzante dilemma se è possibile coniugare un’etica privata che sia irroramento e semente di un’etica pubblica condivisa, Heller risponde riconducendo gli esiti della crisi novecentesca nell’orizzonte di una filosofia pratica, che s’interroga piuttosto su che fare, come pensare, come vivere, in altre parole sulla teoretica verità dell’esistenza. Imporsi di non vedere la realtà, di non provare emozioni, scolora l’autenticità e la veridicità dell’esistenza, pone sullo stesso piano valori fra loro confliggenti, distrugge ogni “umano compatire”, spinge all’abbrutimento e al conformismo, fa perdere di vista il comportamento etico di valore, la libertà di scelta di essere autenticamente se stessi.
    Nella sua trilogia etica, frutto maturo del suo percorso filosofico, la Heller si interroga sulle regole per l’agire dell’uomo contemporaneo, convinta che riabilitare il modello della razionalità pratica significa, soprattutto, andare oltre la dicotomia tra ambito conoscitivo e ambito etico, tra essere e dover essere, tra fatto e valore. La filosofia morale si chiede se sono possibili persone buone in un tempo in cui esiste una pluralità di sfere, ognuna con norme morali proprie. La Heller risponde elaborando l’“etica della personalità”, l’etica di un uomo che si affatica nella costruzione della propria personalità, ma che sceglie di essere autentico pur tra le fratture dell’esistenza, senza lasciarsi condizionare dagli standard sociali o dalle mode del momento. Sceglie se stesso, accetta la “scommessa della contingenza”, le proprie sconfitte e debolezze, le condizioni più o meno fortunate della propria nascita, i propri talenti e convoglia tutto in un progetto di vita unitario e assolutamente unico e singolare. Una scelta tra bene e male richiede una buona dose di coraggio e di convinzione. Solo attraverso un impegno quotidiano è possibile realizzare il “miglior mondo possibile”. L’individuo autonomo da un punto di vista morale sarà, allora, chi non si lascia condizionare dalle situazioni che lo circondano, dalle sue inclinazioni, chi fa sua la massima di Platone: “meglio soffrire un torto piuttosto che commetterlo”, chi sceglie di avere cura degli altri, riesce a “mettersi nei panni di” per rimettere in gioco relazioni ormai logore e stantie.
    Per scrivere di filosofia morale bisogna dunque poter narrare di figure esemplari delle quali illustrare la bontà morale, il loro “modo personale” di stare nel mondo e di esercitare un pensiero che si nutre della complessità dell’essere in relazioni ad altri. È fin troppo evidente come dietro le aberranti barbarie del secolo appena trascorso si siano celati degli uomini, che non hanno udito il grido di sofferenza e di abbandono di altri uomini, urlato – paradossalmente – dentro la loro stessa casa, lo stesso ufficio, la stessa strada. Se fare il male è far soffrire gli altri, è violarne l’innocenza, occorre, allora, dare risalto – questo il compito educativo della filosofia – a quelle azioni che sono orientate a trattare l’umanità come fine, mai come il mezzo del proprio piacere e tornaconto. (Carmelo Labate)

  3. L’intervento di Paola Ricci Sindoni ha messo in risalto come i filosofi dovrebbero adoperarsi per ricomporre la trama lacerata del rapporto tra politica e società, «il cui stacco è da ascriversi [ … ] al collasso delle grandi utopie collettive (subito rimpiazzate da altre inquietanti dinamiche del mercato finanziario)». Ricomposizione che passa necessariamente, secondo la teoria dei sentimenti della Heller, attraverso una “comunità di affetti”, dimensione essenziale per la realizzazione dell’identità.
    La filosofia della Heller ha radici nella sua ebraicità affidata ad un silenzio, complesso ed oscuro, che custodisce quanto vissuto in Ungheria a cavallo del Novecento. Ebraicità, identità mai totalmente esibita in pubblico. Il riserbo stesso dell’essere ebrei è «un’evidenza. Non un segno di appartenenza, non legato ad una fede, a una religione, a una pratica, a un folklore, a una lingua. Piuttosto un silenzio [ … ], dentro cui si profila un’altra certezza astratta: quella di essere designato come ebreo e, in quanto ebreo, vittima» (G. Perec).
    L’imperativo morale della memoria-trasmissione, consegnata e affidata al movimento vitale delle generazioni è patrimonio ebraico. In tal senso il modello ideale e regolativo della vita morale è stato da lei associato alla figura del padre, intrecciando la riflessione teorica col sapere pratico e sviluppando la struttura etica della memoria all’interno di un’accattivante dimensione narrativa.
    A pochi anni dal crollo dei regimi dell’Est, tenne una lezione a Pisa: Dove siamo a casa?, in cui il tema dell’assimilazione viene affrontato con lucido realismo e con coraggio intellettuale. Il sentirsi a casa, dopo lo sradicamento metafisico, causato dai terremoti storici e dall’ambiguità della sua precaria presenza, significava per lei l’essere accettati, accolti, o almeno tollerati. Ma anche perché ogni casa è tirannica, sotto certi aspetti: e per questo si richiede un impegno, un senso di responsabilità, e un certo tipo di assimilazione. Il punto sta proprio nel “tipo”. Perché se alla richiesta di assimilazione si unisce la pretesa di rinunciare a tutte le altre “dimore” (famiglia, gruppo, comunità), allora tale richiesta è oppressiva e illiberale.
    Occorre liberarsi dalla tirannia dell’universalismo, che ci vede dispersi nell’anonimia della cittadinanza globale, ed anche da quella del particolarismo, chiuso all’interno del proprio guscio esclusivo; perché l’identità non è statica, ma aperta alle molte suggestioni del mondo che ci ospita, e che richiede a ciascuno di noi di accoglierlo liberamente e di condividere il nostro personale destino.
    Alle «forme fasulle di sacro», ancora conviventi dentro le fragili democrazie occidentali, va riproposta una forte ripresentazione dell’etica, un ideale costruttivo, un’istanza regolativa, un’utopia incarnata rappresentata dal bene, o meglio, dalle persone buone. Le aspettative messianiche pseudoreligiose, ambiguamente commiste con le dinamiche della politica, dovrebbero esprimersi laicamente come bisogno-attesa di un senso compiuto della storia. La rituale sedia vuota è segnale di una necessaria “ulteriorità”, ma chiunque la occupi è un falso Messia. Nella storia recente più volte abbiamo appreso che era arrivato il momento della salvezza; ma sempre si è trattato di un falso Messia, divenendo quella sedia fonte di violenza, messa in scena per provocare persecuzioni e vittime.
    In quanto figura etica, la bellezza corrisponde alla bontà delle singole persone, che giorno dopo giorno rendono il tessuto della società vivibile, apprezzabile, gustabile come una dimora bella, mediante le dinamiche normative sorrette dalla rettitudine personale che dilata la mera realizzazione formale della giustizia. Sembra di leggere Abacuc, Amos, Giobbe.
    Ecco, l’origine ebraica, rielaborata nell’incontro brutale con la durezza degli eventi storici, è per la Heller quello che più conta, e dà energia al pensiero e continua ad alimentare da millenni il soffio vitale (la ruah) della storia.
    Dopo tanto riferire, premessa necessaria, arriva l’atteso intervento della Heller. Con prorompente verve racconta non solo il suo ultimo libro intervista «I miei occhi hanno visto», ma si sofferma per chiarire una sua posizione, che cioè la filosofia è un “genere letterario” che traccia la continuità con la tradizione, ma anche il fine della stessa e il suo alto valore. Così intesa raccoglie tutta la produzione dello spirito, narra il teorico e l’ideale, si fa patrimonio scritturistico cui appellarsi per continuare a pensare. Il tornare indietro è sempre un andare avanti, perché la ripresa necessita della sua attuazione e della sua ri-comprensione in quanto produzione di spirito, accompagna l’umanità e ne affina la “comprensione del mondo”. Infatti, il singolo filosofo non pensa mai al singolare, ma rifacendosi ad una tradizione pre-esistente, impara a con-filosofare con i suoi predecessori, a partire da alcune domande lasciate insolute o trovate insoddisfacenti. Mantenere viva questa attività speculativa ed interrogante nella modernità, significa conservare e preservare quel “luogo ideale” che salverà l’uomo dai pesi di una schiacciante contingenza.
    Al termine, sono state rivolte moltissime domande alla Heller. Ad ognuna non solo ha risposto con attenzione, ma le ha arricchite di ulteriori pensieri e riflessioni. (Carmelo Labate)

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