Messina – «ASCOLTATORI – PROTAGONISTI» Atti 2,14-40

Giovedì 19 aprile 2012 si è svolto un incontro di vera “formazione” e di vera “preghiera” –  era il 4° incontro sugli ATTI degli Apostoli proposto dal SAE e dal Parroco di S. Maria della Consolazione, Padre Marcellino Pane, che ci ha accolti, insieme alla sua comunità parrocchiale, con semplicità e fraternità, coerentemente a chi crede nel Vangelo e nell’Uomo. Uguale accoglienza ha ricevuto  suor Tarcisia Carnieletto fmm che ha dato un ‘sapore speciale ad un avvenimento ecclesiale. Disporsi in cerchio, con la possibilità di mettere, ciascuno di noi, gli occhi ed il cuore negli occhi e nel cuore dell’altro. Un modo semplice e diretto per affrontare un brano degli Atti 2,14-20, letto e commentato a piccole dosi, da due componenti dell’Assemblea. Questa modalità, ha avuto il pregio di favorire la chiarezza dell’esposizione, apprezzata da tutti i partecipanti. In questo contesto Carmelo Labate (coordinatore SAE), ha limitato il suo apporto a chiarire l’acronimo S.A.E. ed ad una apprezzata riflessione chiarificatrice del testo.

Arricchente anche l’ultima riflessione da ‘Ospite di Padre Marcellino, che si è soffermato sul Valore Universale della creatura Uomo, ricordando anche i 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II (ottobre 1962) ed il Papa PAOLO VI. L’appello conclusivo della splendida relazione di Suor Tarcisia è stato quello di… diventare cristiani.

Cosa (NOI) dobbiamo fare per diventare cristiano e presentarci al mondo come comunità di fede?

La remissione dei peccati, che chiude con il passato, il battesimo, che innesta nel futuro di Cristo rende possibile la convergenza delle diversità.

L’agorà interreligiosa, che si impone oggi a livello epocale, indica la necessità per il cristiano d’impegnarsi non più nella ricerca di forme rassicuranti, ma in un esodo permanente, nella ricerca di spazi di intesa e convivenza in cui le diversità si possano confrontare e ridimensionarsi a vicenda.

Ricco il dialogo alla fine della relazione, in cui si espresso il gradimento per l’incontro e la sottolineatura di due affermazioni sul “Timore di Dio”,  e sulla difficoltà a rendere   ‘giustizia esplicita ai nostri sentimenti, specialmente i giovani hanno difficoltà ad esprimere la loro interiorità..

«Il “Timore di Dio”, è uno dei sette Doni dello Spirito Santo nel sacramento della Confermazione. Già nell’A.T. nel libro del Siracide, viene sottolineato che …”Radice della sapienza e temere Dio”. Ma Gesù ‘completa la Sapienza con l’Amore del Padre. Ecco che allora il “Timore di Dio” diventa il ‘centro a cui tendere per vivere in pienezza il mistero della umana Vita, non paura, ma fiducioso abbandono tra le solide braccia del Cristo Risorto.»

L’Ospitalità è stata completata dalla… fraterna condivisione dell’opera delle Donne della Comunità, che ci hanno fatto gustare torte e biscotti fatti in casa. GRAZIE!!!

Suor Tarcisia Carnieletto fmm – Direttore dell’Ufficio per il dialogo ecumenico e interreligioso-Arcidiocesi di Messina, Lipari e Pace del Mela

S.A.E. – Segretariato Attività Ecumeniche “E. Cialla” – Messina

L’intervento scritto di Suor Tarcisia


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  1. LETTURA ECUMENICA DI ATTI 2,14-41

    Luca dedica tutto il secondo capitolo alla Pentecoste: lo inizia raccontando l’evento e lo conclude presentando la comunità cristiana ideale. All’interno di questi due quadri pone il discorso di Pietro. Il quale sottolinea le due forze della chiesa storica: lo Spirito Santo e la Parola di Dio fedelmente annunciata.

    Pietro non è solo, ci sono gli altri undici. Perché tutti sono testimoni e garanti dei fatti che ha vissuto Gesù e della sua risurrezione. Parlò ispirato, come vuole il gr. apofthéngomai: lo Spirito trasforma il pavido Pietro in testimone coraggioso, testimone della trasformazione operata da Cristo nell’umanità, perdonato perché diventi tramite di perdono. Scelto per servire l’unità. Eletto per testimoniare uno che è il Presente.
    Il primo dei discorsi di Pietro traccia la ”magna charta” della Chiesa al suo inizio.
    Lo schema della predicazione è semplice:
    1) proclamazione di avvenimenti (Pietro 3,13-26; 4,10-12; 5,30-32; 10,36-43; Paolo ad Antiochia di Pisidia 13,17-41), presentati come séguito dell’antica alleanza (13,16- 25) e compimento delle profezie (2,16.24- 25.31; 3,18);
    2) ricordo del ministero terreno di Gesù (2,22) e della sua venuta finale.
    3) crocifissione (2,23) e risurrezione (2,24);

    Confutati i giudizi sprezzanti (non sono ubriachi, essendo ancora l’ora terza del giorno) Pietro costruisce il suo discorso a partire da Gioele (Gl 3,1-5), che aveva annunciato un tempo nel quale il dono della profezia sarebbe stato concesso a tutti. La citazione, presa dal Primo Testamento (PT) gr., contiene alcune aggiunte forse provenienti da una delle fonti degli At. Pietro vede realizzati i tempi preannunciati dal profeta, perché constata che tutti, senza esclusioni o privilegi, sono beneficiari del dono dello Spirito.
    Frequentemente negli Atti (2,22; 3,6; 4,10; 6,14; 22,8; 24,5; 26,9; 24,5 nota o) Gesù viene detto il Nazoreo (TOB). (Lc 18,37 nota f; Mt 2,23 nota b).
    Con la solenne formula (probabilmente ispirata dal PT: Shema’ Israel (= Ascolta, Israele) Dt 6,4-9; 6,22; 11,13-21 e Num 15,37-41; v. At 2,19; 7,36), “Ascoltate queste parole” ha inizio la seconda parte del discorso. Pietro sottolinea l’importanza di quanto sta per proclamare: il ”Kérigma”, l’annuncio cristiano essenziale e centrale: passione, morte, risurrezione e glorificazione di Gesù per la cui credibilità vengono richiamati i miracoli operati da Gesù (cf 10,38), e quelli coi quali Dio accrediterà la predicazione apostolica (2,43; 4,30; 5,12; 6,8; 14,3; 15,12).
    Per Atti la storia della salvezza si svolge secondo un progetto che Dio (21,14; 22,14; 4,28.30; 11,21; 13,11) ha iniziato nel PT (13,36) e la cui realizzazione è entrata nella sua fase decisiva con la venuta di Gesù (4,28.30) secondo i tempi e i momenti fissati da Dio (1,7). Né le opposizioni né i misconoscimenti possono ostacolarne la realizzazione (3,21). Proclamare in maniera essenziale (2,14) questo piano di Dio è compito del cristiano (20,27) a qualsiasi chiesa apparterrà.
    Del dramma del Calvario (ucciso per mano di empi di senza legge) bisognava poi spiegarne il senso, perché una morte così tragica minacciava di oscurare la figura di Gesù, lo screditava davanti agli occhi dei Giudei che lo consideravano abbandonato da Dio. Pietro allora ricorre alla citazione di alcuni brani del PT, i Salmi 16,1-8, 132,11, 110,1 e 2Sam 7,12. Citazioni che permettono una lettura nuova dei fatti: nella persona di Gesù (il fedele, quello che si è consacrato: 13,35; 3,14) si è realizzato quanto gli autori ispirati avevano annunciato, e collocano la risurrezione nel contesto messianico. La cit del Sal 16,8-11 è dal gr. che traduce con corruzione (vv. 27.31) una parola ebraica il cui significato più corrente è fossa … da cui si sale. La risurrezione infatti non è una semplice liberazione dalla morte, ma una introniz-zazione messianica: risurrezione e glorificazione sono intimamente connesse. Non alla destra, ma mediante la destra. Come suggerisce il senso strumentale del Sal 117,16 (la destra del Signore si è innalzata, la destra del Signore ha fatto meraviglie) e non quello locale del Sal 109,1 (Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi). La ricchezza teologica dell’omelia di Pietro, prima e ufficiale interpretazione del mistero pasquale, si riscontra al v. 36 : “Sappia con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!”, dove, con sorprendente sintesi, sono contenuti i principali titoli che definiscono la grandezza di Gesù, ”Signore e Cristo”. Il primo (Signore) esprime la sua divinità, essendo il nome con il quale il PT chiama Dio (quindi, vero Dio); il secondo (Cristo) afferma la sua messianicità, quindi, vero uomo. Di solito Atti chiama Dio il Signore, come il PT gr. traduceva il tetragramma (YHWH), il nome proprio di Dio; e come Lc (7,13) dà a Gesù il titolo di Signore, orientando l’ambiguità dell’attributo verso il mistero di Gesù nella sua relazione con Dio (5,41). Ecco la prima predicazione: credete in Gesù Cristo (11,17; 28,31) perché è il Signore (20,21; Rm 10,9; 1Cor 12,3; Fil 2,11); anzi, come dirà più avanti (At 9,20) è Figlio di Dio.
    La risposta all’annuncio è categorica: cambiate pensieri e ragionamenti e fatevi battezzare; non abbiate più nulla da spartire con la mentalità mondana. Il battesimo è dato nel nome di Gesù Cristo (lett. in direzione, in vista del nome), o ricevuto invocando il nome del Signore Gesù: 8,16; 10,48; 19,5; 22,16. Questa formula indica che il battezzato viene messo in stretta relazione con il Nome, cioè la persona stessa di Gesù risuscitato (3,16). Il dono della salvezza mediante lo Spirito non è offerto al solo Israele – questa è la novità del discorso di Pietro – ma a chiunque, anche ai ”lontani” Questo voi include anche quegli uditori che Pietro considera come direttamente responsabili della morte di Gesù (v. 23). Ancora la citazione di Gioele: ”chiunque invocherà il nome del Signore, sarà salvo” (Gl 3,5). Gli Ebrei anzitutto, poi i pagani, è lo schema della missione apostolica (3,26). Questa frase acquista nel contesto un duplice valore, poiché è rivolta sia alla variegata diaspora giudaica che sta ascoltando Pietro sulla piazza di Gerusalemme sia a tutti coloro che ascolteranno in futuro la predicazione apostolica.
    Atti introduce, con grande arte drammatica, la reazione degli ascoltatori alle parole di Pietro, dicendo che ”si sentirono trafiggere il cuore”. Nell’antropologia biblica il ”cuore” non è semplicemente la sede dei sentimenti, degli affetti e dell’amore, è il nucleo più profondo della persona, il luogo segreto dove maturano le riflessioni più intime e si prendono le decisioni più importanti. Il messaggio dell’Apostolo raggiunge questo nucleo segreto e profondo degli ascoltatori, sconvolgendolo. La crescita della Chiesa è registrata volentieri dagli Atti: v. 47; 4,4; 5,14; 6,1-7; 9,31; 11,21-24; 16,5. L’annotazione numerica (simbolica o reale) indica che la salvezza viene offerta a tutti e non solo a pochi eletti. Luca adopera il verbo ”aggregare” (in greco ”prosthitémi“) per significare l’entrare a far parte della comunità che credeva anzi ”aderiva” al Signore.

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