SAN LORENZO (RC) – «L’OLMO … come in uno scrigno che conserva un tesoro»

A PROPOSITO DI OLMI E DELL’OLMO DI SAN LORENZO

Il figlio di Abele

Da qualche decennio, naturalisti, biologi, botanici in tutto il mondo si stanno interessando allo studio degli alberi monumentali sparsi quà e là nel pianeta, del loro patrimonio genetico, del loro rapporto con i territori e le popolazioni, del loro stretto legame con la storia immagazzinata nei loro corpi legnosi come in uno scrigno che conserva un tesoro.

Tra tutte le varietà, quella dell’olmo in particolare, sta diventando ormai una specie sempre più rara. Tuttavia, nella nostra bella misconosciuta Calabria abbiamo individuato (oltre al nostro monumentale nel comune di San Lorenzo) quel di Montepaone (ultimo albero della Libertà) e quel di San Nilo di Rossano, non più esistente dal 1961, ma la cui incredibile storia è legata in qualche modo al nostro anche per quanto riguarda la presenza dei bizantini nel territorio.

Come possiamo ben notare il nostro Patriarca non è solo. Ha tanti fratelli sparsi per tutto l’arco dell’Europa meridionale (Francia, Spagna, Portogallo) e, nel territorio della fiumara del Tuccio è stato testimone attraverso i secoli della presenza di monaci basiliani, di principi e nobili signori, del passaggio di personaggi più o meno illustri ma, soprattutto, del quotidiano vivere di ciascun abitante di un borgo che per la sua importanza storica e culturale in passato -sostituendo il nome Vencirolo dato dai greci- venne chiamato anche Valletuccio. Ogni anima gli apparteneva. La sua vita veniva sfiorata giorno e notte dagli sguardi di chi in piazza ci saliva o soggiornava oppure, incuriosito, si soffermava ad ammirarlo. Questo andirivieni non è cambiato; bensì la gente e i loro interessi. L’indifferenza generale oggi regnante, ha giocato un ruolo determinante e così, tra il 2016-2018, il “cittadino” più vecchio del paese dando un forte segnale di “protesta” si ammalò, come un anziano centenario che preso dagli acciacchi alza lo sguardo verso il vuoto in cerca di qualche anima buona che lo aiuti a trovare sollievo. Ha bisogno di irrigazione continua oltre alla cura per gli attacchi funginei da Ophiostoma ulmi. Ma Lui, paradossalmente, rimane lì, ancorato, imponente, dignitoso, con quel suo corpo di legno cavernoso e l’incombente chioma che continua a rinnovarsi ad ogni primavera come simbolo della resiliente esistenza di un’anima collettiva che, ancora oggi -e malgrado tutto- stenta a morire: Abele.

Ma perché Abele?

Qualche anno fa, durante uno degli interventi dell’Ente Parco d’Aspromonte per salvare l’albero dalla marcata grafiosi che lo aveva praticamente prosciugato e portato in fin di vita, il Direttore Sergio Tralongo ci chiese se aveva un nome. “Dategli un nome!” disse. E’ molto importante. “Dategli un nome!”. Più tardi, durante un nuovo incontro, gli abbiamo detto “Si chiama Abele”, e lui sorrise.

Abele: come “figlio” di questa terra; come “soffio vitale” che garantisce l’esistenza del mondo circostante; come “respiro” che nutre l’aria e fa battere i cuori degli abitanti del “paese dei venti”.

Ma era accaduto un giorno che nella stretta aiuola della vecchia Caserma spuntò a sorpresa una radice e germogliò. L’unico luogo della piazza in cui la terra non era stata coperta dal cemento. Ed ebbe inizio una nuova storia. E passarono gli anni: prima dieci, poi venti… Cercava la luce il figlio di Abele! Ed è cresciuto, a pochi metri dal Padre-Madre, adeguandosi alle forme della struttura, piegandosi al terrazzo che sconfina con la sua giovane ancora debole chioma.

L’uno di fronte all’altro, Abele e suo figlio, nel mezzo della piazza di San Lorenzo, al centro della vetta su cui poggia questo antico borgo calabrese -che come tanti altri nel territorio aspromontano evidenzia lo stato di abbandono- garantiscono a chi rimane, un sottile filo di speranza nella sopravvivenza.

E pensa Abele. Riflette e vorrebbe urlare:

“Mio figlio

mi guarda

dall’aiuola

di una caserma

abbandonata.

Pure lui sorride

al sorso d’acqua.

Il fuoco si é placato,

e anche la nostra sete.

Tramutato il paesaggio,

anch’io potrò seppellire

il mio rugoso tronco

lontano, fuori,

di questa lastra

di cemento.”

(da “Le memorie di Abele – L’Olmo si racconta”  attività Circolo Il Pettirosso 2020-2021)

Dando al lieto evento l’attenzione che merita, il Direttore in una visita successiva propose di prelevare il giovane olmo e trapiantarlo in un luogo degno di ciò che rappresenta. L’Ente Parco Nazionale d’Aspromonte se ne sarebbe occupato del progetto. Il giovane virgulto dell’originario gigante avrebbe consentito di tramandare ancora nei secoli la preziosa carica genetica del meraviglioso esemplare di Ulmus minor Miller a memoria della storia già vissuta e nel prosieguo di quella a venire.

Si narra (per tradizione) che quando il vetusto Patriarca laurentino smetterà di germogliare e sarà abbattuto dal tempo, la vita nel paese finirà. Forse è quello che sta accadendo oggi sotto i nostri occhi poiché, da qualche tempo ormai, il declino della cultura millenaria che caratterizzava il territorio, l’evidente scomparsa delle classi popolari che abitavano questi posti e i forti movimenti migratori hanno decisamente determinato le attuali condizioni del centro storico laurentino. Di secoli sono trascorsi già tanti. Si spera che nel figlio di Abele si possa trovare lo spunto per una reale ripartenza. La salute dell’Olmo è precaria ormai, ma Lui insiste e resiste, rimanendo in silenzio davanti a quel giovinetto del tronco sottile che si affaccia eroicamente alla storia di un nuovo mondo.

Non sappiamo se avrà un futuro. Ma se si dovesse compiere il sogno di chi guardando avanti ha voluto offrirci uno spiraglio di continuità e di Speranza, dovendogli dare un nome, ci piacerebbe molto che fosse Sergio.

Noi de “Il Pettirosso” –  San Lorenzo (RC)

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