Mazara del Vallo – ““Casa della Comunità Speranza”” -«Non stancarsi mai di … “Condividere il bene”»

Don Pino Alcamo
Don Pino Alcamo

Non ce la faccio a tenerlo per me!

Ho chiesto alle Suore Francescane Missionarie di scrivere la loro testimonianza per la rivista “Catechesi”.
Il Regno di Dio cresce in mezzo a noi.
Buona lettura e buon Avvento

«Comunicare Speranza nella casbah di Mazara del Vallo»

Un progetto educativo dal sapore evangelico – 

2015_06_14-COMUNICARE SPERANZA-05
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A cura di sr. Paola Dal Pra, fmm
Chi siamo?

“Si vede che vi vogliono bene e che siete come le loro madri”, dicono gli amici cui facciamo conoscere le stradine della casbah. Conosciamo le persone e siamo conosciute. Siamo qui da pochi anni ma grazie alla continuità della missione delle nostre sorelle, è come se anche noi fossimo qui dal 1978.
Ogni giorno facciamo nostre le parole del Papa: “Io sono una missione su questa terra e per questo mi trovo in questo mondo” (Evangelii gaudium, n.273). Ogni giorno “siamo missione”, e perciò, come francescane missionarie di Maria (fmm), continuiamo a restare qui a Mazara del Vallo del Vallo. Siamo espressione di “una Chiesa in uscita”, come dice il Papa; una Chiesa che è vicina alla gente, incontra i ragazzi sulla strada, testimonia Gesù non tanto a parole, ma con i gesti semplici del quotidiano. Come Maria, attente a dire a Gesù e a chi ha la possibilità di risolvere situazioni di precarietà, “non hanno più vino” (Gv.2,3). Siamo qui a Mazara del Vallo del Vallo per condividere la vita di Gesù presente nei più poveri, e per dire loro, insieme a tutti i volontari e operatori, che sono importanti per noi.
Cosa continua e cos’è cambiato dal 1978?

2015_Dicembre-ComunicareSperanza-n°8
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Continua la nostra vita di fmm, inserita nella casbah araba, con la Presenza eucaristica che ci dà forza e rinnova continuamente l’entusiasmo di essere a servizio, senza pretese, degli immigrati.
Allora le fmm erano testimoni dell’arrivo delle poche centinaia d’immigrati pescatori che trovavano impiego nella più grande flotta peschereccia del Mediterraneo. Ora siamo testimoni che gli immigrati sono il 5% della popolazione di Mazara del Vallo, ma con una disoccupazione in continua crescita per la distruzione programmata delle imbarcazioni.
Allora la comunità d’immigrati continuava a svilupparsi per i ricongiungimenti familiari, soprattutto grazie all’arrivo delle mogli; ora i figli, nati qui, sono già grandi e hanno problemi di formazione e di identità. Non sono italiani perché la legge non glielo permette, ma non si sentono completamente tunisini.

2015_06_14-COMUNICARE SPERANZA-06
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Allora le suore si occupavano della salute delle donne incinte e le accompagnavano nel loro percorso fino al parto; ora il diritto alla salute è assicurato quasi completamente a tutti, ma continua la necessità dell’alfabetizzazione e formazione delle donne.
Allora le fmm dovevano occuparsi delle pratiche burocratiche per i permessi di soggiorno; ora la città è piena di sportelli sindacali che svolgono questi servizi e non è più necessario farli, ma spesso chi perde il lavoro non può più avere il permesso di soggiorno e diviene clandestino.
Allora nelle scuole si era impreparati ad accogliere bimbi stranieri; ora gli istituti scolastici sono molto più aperti all’accoglienza, tuttavia, nonostante gli innegabili risultati ottenuti, la dispersione scolastica è ancora molto alta ed è necessario continuare la difficile battaglia contro il fenomeno degli abbandoni, evasioni, bocciature. Le cause sono molteplici. Il disagio sociale ed economico coinvolge, spesso contemporaneamente, ragazzi e famiglie.

2015_Dicembre-ComunicareSperanza-n°8
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E’ a questi ragazzi che la ““Casa della Comunità Speranza”” ha voluto aprire le porte, e non solo.
«Parlare della Comunità è tanto semplice quanto difficile”, dice Patrizia, una delle operatrici. E continua: “semplice perché la vedi: un gruppo di operatori e tanti bambini/ragazzi che la frequentano per fare i compiti. Difficile perché non è così, o almeno non è solo questo, ma tanto di più. E’ tanto di più per tutti, operatori, ragazzi, famiglie. Ciascuno arriva in Comunità per ragioni diverse e da strade diverse e opera per ragioni diverse. Tante volte guardando, ascoltando i bambini/ragazzi, situazioni varie, mi sono chiesta “e se non ci fosse?”»

Scrive Miki: «Nella “Casa della Comunità Speranza” il nostro unico obiettivo è quello di creare un’alternativa alla strada per i ragazzi che ogni giorno stanno con noi, non solo affiancandoli nelle attività scolastiche, ma anche condividendo momenti piacevoli, come partite di calcio o pallavolo, guardando un film, partecipando a gite, organizzando laboratori di pittura, di ballo, di spettacolo, la colonia estiva. Così non esistono barriere”. (Condividere, n.16, settembre 2015).

E’ una Casa a porte aperte, per tutti. “Le porte sempre aperte della nostra Casa, esprimono la gioia dell’accoglienza e sono occasione di incontro, scontro, confronto, ascolto” (Editoriale, Comunicare Speranza, n.3).
Scrive Antony: «Per conoscere bene la “Casa della Comunità Speranza” bisogna viverla: solo così si può capire davvero chi siamo e cosa facciamo, e quando di “noi”, non intendo solo gli operatori ma anche i ragazzi, perché siamo una vera “casa”“. (Condividere, n.16, settembre 2015).

2015_06_14-COMUNICARE SPERANZA-02
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Nessuno può autoproclamarsi testimoni. Tanto meno lo voglio fare io, che nella “Casa della Comunità Speranza” ormai sono solo una presenza, non necessaria. Finché continuerò ad essere inviata a Mazara del Vallo del Vallo sarò comunque contenta di partecipare alla vita della “Casa della Comunità Speranza”, guardando con soddisfazione e avendo la certezza che ciascuno nella Comunità partecipa alla missione di tutti, con passione e con il desiderio di essere un “tuttuno”. Insieme siamo a servizio dei figli degli immigrati, e insieme ai ragazzi impariamo ad essere comunità. E’ questo il nostro modo di essere Chiesa: persone che cercano di vivere in comunione per donarsi in un servizio. Gli operatori e i volontari della Comunità, che con noi fmm sono a fianco dei ragazzi, hanno modi di credere differenti: c’è chi è religioso, come noi e i preti, c’è chi è mussulmano praticante o non praticante, chi è cattolico praticante e chi non lo è, chi attraverso la Comunità sta facendo un cammino di fede. Persone diverse, ma con il desiderio condiviso che i bambini e i giovani fioriscano nel loro essere persone autentiche, capaci di vivere in comunione. Sono come il “collante” con i ragazzi. Questo ci unisce e ci dà slancio, coscienti che educare esige un impegno lungo e complesso, e che richiede sinergia di stili e di obiettivi, per contrastare almeno in parte quanto propone la cultura attuale, individualista e spesso violenta.
Tutti insieme, quindi, scriveremo questo articolo, come insieme stiamo scrivendo la storia della “Casa della Comunità Speranza”.

Ci vorrà solo il Vangelo vissuto. Gli inizi.

2015_Dicembre-ComunicareSperanza-n°8
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Mazara del Vallo si affaccia sul Mar Mediterraneo e dista meno di 200 km dalle coste tunisine del Nord Africa. Questo favorisce da sempre il movimento migratorio. Quello contemporaneo, dalla Tunisia, inizia nel 1968. Nel 1973 l’immigrazione acquista maggior consistenza, grazie al gemellaggio Mazara del Vallo/Madia. Nel 1978 il Vescovo del tempo, Mons. Costantino Trapani, interpella e chiede aiuto alle fmm, in quanto istituto missionario. Girando per le viuzze per presentare la situazione alle sorelle venute a discernere il possibile inserimento, dice: «Ci sono circa 3000 tunisini. Vivono in condizioni molto disagiate. Lavorano quando possono, ingaggiandosi nel barconi da pesca. Sono mal retribuiti. Non hanno previdenze. Non c’è chi pensi a loro. Ci sono matrimoni misti. La scolarità è difficile, la lingua diversa. Venite, si studierà il meglio per questa gente”.
Le prime quattro sorelle arrivano e si inseriscono nell’antico centro storico, denominato “casbah” a causa dei vicoli stretti che lo caratterizzano. Nel loro diario leggiamo: “Noi abitiamo nella zona vecchia, vicino alla marina, dove abitano i tunisini… Anche qui gli immigrati devono vincere tanta diffidenza negli abitanti del posto”. Il bollettino della congregazione descrive il loro alloggio: “Qualche sguardo furtivo da dietro le porte: un interno, l’unica stanza con quattro brandine basse, un fornellino, dei panni appesi. E’ tutto. Fra i tunisini di Mazara del Vallo ci vorrà soltanto il Vangelo vissuto”(Ci-Pi, n.5-6, giugno 1978).

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Il 2 agosto 1978 sr. Cornelia scrive sul diario: “Di solito in agosto non si semina, specialmente nei paesi aridi, senz’acqua. Qui invece, perché l’opera di Dio sia ancor più manifesta e palese, si è cominciato a gettare i minuscoli granelli di semente proprio in questo mese e in mancanza d’acqua si è cercato d’innaffiare col sudore. Cosa fiorirà? E quando fiorirà? Se parliamo un linguaggio umano diremo che più di qualche sterpetto secco non potrà spuntare, ma il guaio è che noi siamo piene di fede, di speranza e, speriamo, di carità e perciò vediamo già il raccolto futuro….”(Ci-Pi, n.8-9 agosto-settembre 1978).
Leggiamo ancora: “All’ora della preghiera entrano nella minuscola cappella tre a tre.. le ragazzine si sprofondano in inchini fino a terra e, guardando la lampada rossa, invocano Allah! I cattolici stanno imparando che Gesù è nascosto nell’Ostia bianca e non nella lampada. E’ un primo annuncio che si fa strada lentamente, con la pazienza dei pescatori” (Storia, p.836).

2015_Dicembre-ComunicareSperanza-n°8
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A Mazara del Vallo ci vorrà soltanto il Vangelo vissuto: questa è profezia.
Da allora molte suore si sono alternate, sempre fedeli ai bisogni degli immigrati, cambiando continuamente il tipo di servizio a seconda dell’evoluzione dei tempi e delle necessità. Nel 2009, in seguito all’impossibilità di continuare la cooperativa di tappeti sorta precedentemente per dare lavoro alle donne tunisine, la Provvidenza stessa ci ha cercato in modo inatteso ed ha aperto altre strade attraverso Karim, un amico professore mussulmano che sempre ripete di essere stato contento di conoscere la Chiesa attraverso le Suore. La Fondazione Enel Cuore, che voleva offrire un proprio contributo in Sicilia, ha chiesto a lui un suggerimento e questi ha segnalato le fmm, proprio nel momento in cui non si sapeva più che cosa fare dell’edificio, pieno di telai e di tanta lana da distribuire perché ormai inutilizzata. Non abbiamo deciso da sole come presentare il progetto alla Fondazione. Abbiamo chiamato gli abitanti della Kasbah, per la maggior parte tunisini e rom; li abbiamo ascoltati nelle loro preoccupazioni e chiesto loro che cosa potevamo fare in quell’edificio, che era stato comprato per i poveri, con la solidarietà di tutte le fmm del mondo in occasione del Giubileo del 2000. Ci hanno messo molto in discussione e poi ci hanno risposto: “fate qualcosa per i nostri figli”.

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Abbiamo fatto molti incontri per riflettere insieme, finché il 15 marzo 2010 con la benedizione del Vescovo e le danze etniche, fatte nella piazzetta circostante, ha avuto inizio la “Casa della Comunità Speranza” come “centro di aggregazione giovanile”. L’ubicazione della Casa, nel cuore della Casbah, dove risiedono la maggior parte di famiglie immigrate, ha facilitato l’incontro dei ragazzi, che è divenuto fin da subito un’alternativa alla strada, anzi ai vicoli, in cui regnava sovrana la microcriminalità. All’inizio sono arrivati solamente i maschi. Giocavano, litigavano, se ne andavano e tornavano come fossero attirati da una calamita. Di cammino se n’è fatto tanto. Ora alla Casa della Comunità ci sono in prevalenza ragazze, che studiano, si impegnano, sono allegre. Ma prima era davvero così. Lisa lo conferma:”Io non conosco troppo la casbah, perché è un posto per i maschi che giocano a pallone e nessuna femmina”. E Ferzija: “La casbah è un luogo dove i ragazzi non si comportano bene”.

Eddine, che ora è all’università, nel 2010 aveva 13 anni e scriveva: “Vorrei parlare di bullismo, perché ne ho vissuti molti di episodi: ho picchiato, mi hanno picchiato ed ho visto picchiare. Un sabato sono uscito con i miei amici ed abbiamo visto un gruppo di ragazzi che picchiava un ragazzo indifeso e innocente. Ho pensato di chiamare un amico e con lui li abbiamo calmati, ma loro continuavano e mi prendevano in giro sfottendomi. In quel momento mi è salita l’adrenalina che mi ha fatto dare un pugno a quel ragazzo che se n’è andato. Allora è andato a chiamare un gruppo di altri ragazzi ed anch’io ne ho chiamati altri; così abbiamo cominciato a picchiarci tutti e li abbiamo massacrati. Finito tutto ho capito che avevamo sbagliato e che non dovrei farlo più. Il picchiare mi fa non solo arrabbiare, ma soprattutto rimango deluso di me stesso. Ma se la prossima volta vedrò picchiare, cosa farò, chi me lo può dire? Questa mia esperienza del picchiare, dell’essere picchiato e del vedere dei ragazzi picchiarne altri è un’esperienza da bullo e di bullismo come vittima e come osservatore. Tutte e tre sono terribili. Io spero che si capisca che solo la parola e la comunicazione possono essere armi forti e di speranza” (Comunicare speranza, n.1).

2015_06_14-COMUNICARE SPERANZA-01
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Parola e comunicazione. Abbiamo tentato di offrire una mediateca e degli spazi per giocare e ritrovarsi, con dei cineforum, presto falliti perché i ragazzi avrebbero preferito vedere film horror. Poi, conoscendoli meglio e spinti anche dal fatto che ci hanno rubato tutti i computer, abbiamo preso in considerazione la necessità di proporre loro un sostegno scolastico, con dei laboratori artistici e sportivi capaci di rendere loro più appetibile il doposcuola non tanto amato. Già c’era un piccolo doposcuola per pochi bambini in un vicino locale in affitto. Si trattava di cercare altri volontari per aumentarne il numero e risorse per avere collaboratori più stabili. La Provvidenza ci accompagnava e ci stupiva. Le famiglie confermavano che quello era il cammino da intraprendere, perché si sentivano incapaci di accompagnare i figli nel percorso scolastico. Abbiamo risposto a delle attese, e il passa-parola è stato immediato.
Antony è un testimone: “Io sento delle “molle” che scattano nella mia testa e quando una “molla” scatta, io in automatico seguo quell’idea, difficilmente la racconto o me ne vanto. Sono approdato alla “Casa della Comunità Speranza” forse perché trascinato da mio fratello. L’inizio non è stato facile, ma non perché sia un ambiente difficile o ostile. Poi è scattata una di quelle famose “molle”: ero circondato da ragazzi con un potenziale che mai nessuno aveva visto; era un peccato non fare nulla. Così ho iniziato a cercare, proporre, organizzare. Lo sport ha sempre parlato un linguaggio universale, perché non approfittarne? Piano piano, con mille difficoltà (burocratiche, organizzative e soprattutto economiche) sono nate squadre di calcio, calcio a 5 e pallavolo. I risultati? Campioni regionali di calcio a 5. Non sono soddisfazioni? A ogni riunione con i miei colleghi ci chiediamo sempre come possiamo essere davvero un’alternativa alla strada e spesso ci facciamo prendere dall’amarezza dei fallimenti che comunque ci sono sempre. Alla Casa cerchiamo di offrire ai ragazzi quanti più servizi. A volte sembra che abbiamo le bacchette magiche perché dal nulla riusciamo sempre a trovare qualche risorsa: come operatori siamo insufficienti, i volontari sono pochi, le idee tante, le richieste tantissime; ma ormai i ragazzi fanno parte della nostra vita e anche se siamo stanchi andiamo avanti lo stesso. Lo ammetto, spesso dico, pure ad alta voce, che voglio gettare la spugna. Poi però, mentre percorro a piedi quel pezzo di strada che dal posteggio mi porta alla Casa, ritrovo bambini che mi corrono incontro per salutarmi, mamme che mi ringraziano e tutto passa. Sono stati i bambini stessi ad insegnarmi. Alla fine non è difficile: basta avere un cuore, ascoltarli, condividere con loro tutto, essere i loro amici “grandi”, non raccontare mai bugie perché ti capiscono al volo, rimproverarli quando serve, ma in ogni caso restare con loro” (Condividere, n.16, settembre 2015).
Anche il territorio gradualmente è venuto a conoscenza dell’esistenza della “Casa della Comunità Speranza”. Ogni anno le richieste crescevano. Le statistiche del 1/1/2013 facevano sapere che la popolazione straniera dai 6 ai 19 anni a Mazara del Vallo era di 626 persone. Quest’anno, dalle elementari alle superiori, i nostri iscritti effettivi sono 160, ma i ragazzi raggiunti con le varie attività sono circa 200.

Lo fanno per Dio. Motivazioni del nostro permanere a Mazara del Vallo.
“Tu andrai a coloro a cui ti manderò… metto le tue parole sulla tua bocca” (Ger.1, 6-10). Anche Ezechiele fa la stessa esperienza: “Ezechiele, mangia questo rotolo. Poi va e parla al popolo d’Israele …Riferisci loro le mie parole, sia che ascoltino o no” (Ez.3, 1; 10).

2015_Dicembre-ComunicareSperanza-n°8
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Quando un battezzato, chiamato per grazia ad essere profeta, riceve questo dono inestimabile, si sente come lanciato nel mondo intero e desidera annunciare la Parola che ha preso carne nel suo cuore. E’ un impulso irresistibile, che fa eco al grido di Paolo: “Guai a me se non evangelizzassi”. Anche noi fmm, inviate tra gli immigrati di Mazara del Vallo, quasi tutti mussulmani, ci sentiamo gravide della Parola, che dobbiamo però imparare quotidianamente a vivere e trasmettere con altre modalità, senza programmazioni. In continuità con la scelta fatta dalle nostre prime sorelle di vivere il Vangelo in mezzo alla gente, condividendone la vita e incarnandosi con semplicità, per prima cosa abbiamo deciso di continuare a vivere nella Casbah, lasciandoci guidare dalla storia, per rispondere alle urgenze dei ragazzi di seconda generazione, continuamente alla ricerca della propria identità.

2015_06_14-COMUNICARE SPERANZA-11
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La “Casa della Comunità Speranza” ci sembra essere come il “cortile dei gentili”, il “pozzo di Giacobbe” (Gv.4) in cui, come Gesù con la Samaritana, possiamo incontrare i fratelli e dialogare con loro. Non lo facciamo da sole, ma in comunione con persone che amano la gente, ci consigliano e condividono la nostra scelta di lasciarci ispirare dagli atteggiamenti d’amore di Gesù, perché l’amore è sempre concreto. Insieme con l’Associazione, nata nel 2011 per dare continuità alle attività delle suore, ora guardiamo al futuro, che forse ci aprirà altri orizzonti. Gli sbarchi di minori non accompagnati sono un altro grido che forse ci farà ulteriormente uscire e “valicare le montagne” dell’impossibile, come ha fatto Maria andando ad incontrare Elisabetta.
Il dramma degli sbarchi è davvero grande e la frontiera del Mediterraneo continua ad essere una sfida e una prova di coraggio per tante persone che cercano di giungere là dove il sogno sembra realizzarsi. A Mazara del Vallo tuttavia, pur essendo una città aperta alla multiculturalità, il sogno si infrange, perché non c’è possibilità di futuro neppure per i giovani mazaresi. Gli immigrati fanno parlare di sé quando muoiono nel mare o quando si ribellano alle forze dell’Ordine in qualche centro di detenzione, ma successivamente per loro c’è solo indifferenza, spesso ostilità. Qui a Mazara del Vallo c’è tolleranza reciproca con la popolazione, ma siamo molto lontani dall’integrazione vera. Per questo il nostro continuare ad essere qui, condividendo la vita della Casbah, è un piccolo mezzo usato dalla Provvidenza per costruire quei ponti che sembrano ancora necessari perché finalmente sia ascoltato il grido di tanti giovani che trovano difficoltà ad essere protagonisti della propria esistenza, perché svantaggiati fin dall’inizio della loro vita. La nostra trasmissione del Messaggio non può avere parole, ma i fatti stessi diventano un piccolo segno dell’amore di Dio, che ha tanto amato il mondo da mandare suo Figlio. E ha mandato anche noi, discepole del Figlio. Sono loro stessi, i nostri fratelli mussulmani, che dicono “lo fanno per Dio”. Così, la Speranza, che ogni giorno si vivifica nel nostro cuore, continua ad essere comunicata.

2015_Dicembre-ComunicareSperanza-n°8
2015_Dicembre-ComunicareSperanza-n°8

I sogni e le sfide. L’evoluzione del cammino.
Percorrendo gli articoli del giornalino “Comunicare Speranza”, in cui i ragazzi stessi raccontano a viva voce la loro speranza, possiamo leggere il cammino della “comunità”. Nel primo numero Mariolina e Giovanna, ricordano la leggenda del vaso di Pandora. «Come narra la leggenda, Pandora era una principessa dell’antica Grecia, che ricevette in dono dagli dei, invidiosi della sua bellezza, un vaso misterioso. Sebbene fosse stata ammonita di non aprirlo mai, un giorno, sopraffatta dalla curiosità e dalla tentazione, Pandora sollevò il coperchio per sbirciarvi dentro; ma così facendo liberò all’esterno le grandi piaghe del mondo: malattie, povertà, guerre… Nel fondo del vaso rimase l’unico rimedio che può rendere sopportabili le miserie della vita al genere umano. La Speranza, appunto”. E concludevano con l’augurio, a chi già si è messo nella coraggiosa ricerca della speranza, di poter realizzare i propri sogni, quali che siano.
Quali sono i sogni di chi è straniero in patria?

2015_06_14-COMUNICARE SPERANZA-09
2015_06_14-COMUNICARE SPERANZA-09

Race, un rom che nel 2011 aveva 14 anni, scriveva: «I miei genitori sono venuti qui in Italia perché sono scappati dalla guerra. …La mia speranza per il futuro è quella di poter mantenere una famiglia, come mio padre ha mantenuto noi; così studio e partecipo alle attività pomeridiane…». Race non è riuscito a diplomarsi. Per tre volte ha preso il biglietto per la Germania e l’Inghilterra per cercare lavoro, senza riuscirci. Ora ha 20 anni e qualche mese fa si è sposato. Non può mantenere la sua famiglia ma continua a sognare. Quella breakdance che ha imparato quando era piccolo nella Casa della Comunità gli dà ora la possibilità di fare degli spettacoli con gli amici e sentirsi protagonista.
Tahar ora è all’università con Malek. Si sono sempre aiutati in questi anni come veri amici. Quando era in seconda media scriveva: «Io penso di continuare a studiare, prendere la licenza media e poi iscrivermi all’Istituto marittimo per diplomarmi e andare a lavorare sulle navi da crociera e così realizzare il mio sogno, che è quello di girare il mondo e conoscere altre terre ed altre culture». Intanto studia ancora, e attraverso facebook rimane in contatto con tutti.

2015_Dicembre-ComunicareSperanza-n°8
2015_Dicembre-ComunicareSperanza-n°8

Nizar, dalla comunità di recupero ci scriveva: «Io fuori dalla marina e dalla casbah mi sento uno straniero. Sono nato a Mazara del Vallo e dentro di me mi sento attaccato a questo paese, però contemporaneamente non mi sento accettato. ..Da piccolo ho vissuto tanti malesseri e questa cosa mi ha portato ad avere tanta rabbia dentro di me e non l’ho saputo indirizzare nel modo giusto e mi ha portato contro il sistema, in poche parole a delinquere. Non è il modo giusto per manifestare la propria rabbia e dire “ci sono anch’io”. Dicono che esistono mille modi, ma io non ho ancora trovato un modo per sentirmi vivo dentro.. e spero tanto che un giorno io possa trovare un modo giusto per manifestarmi e sentirmi utile alla comunità tunisina e offrire un contributo umano ed avere una gratificazione dentro di me. Non esiste una cosa più ricca della gratificazione di “dare e ricevere”» (Comunicare Speranza n.2). Nizar ha fatto un bel percorso di recupero e ora desidera essere volontario della Casa della Comunità. Le sue riflessioni coinvolgono anche gli altri ragazzi.

2015_06_14-COMUNICARE SPERANZA-10
2015_06_14-COMUNICARE SPERANZA-10

“Il mio grande sogno: insegnare la break dance”. Così ha scritto Amir, tunisino, quando aveva 16 anni. «Per me la danza significa molto e da quando ho visto la mia insegnante insegnare a noi ballare con tanta pazienza, ho avuto la voglia di farlo anch’io. Da quel momento è diventato il mio grande sogno: insegnare la break dance ai ragazzi più piccoli di me. Così ho avuto la possibilità di conoscere i bambini e i ragazzi della “Casa della Comunità Speranza”. Da quando ho iniziato a ballare mi sento tanto emozionato perché vedo che la mia passione la passo agli altri anche se mi fanno arrabbiare. Però so che l’insegnante non deve mollare mai, perché quando si arriva allo spettacolo, vedendo i ragazzi sul palco che ballano, mi viene la pelle d’oca» (Comunicare speranza, n.5) . Amir ora ha 20 anni. Si è diplomato ed è istruttore di tre gruppi di ragazzi. Insegna la danza, ma soprattutto trasmette la voglia di vivere, il rispetto delle regole e anche la sua fede.
Fin dall’inizio il giornalino è stato occasione per i ragazzi di comunicare le proprie idee. Concetta scrive: «Io sono una ragazza mescolata. Mia mamma è polacca, mio papà è mezzo tunisino perché mio nonno era tunisino e mia nonna invece è italiana. Io penso che siamo tutti uguali sia tunisini, italiani, cinesi, ecc. Non dobbiamo giudicare le persone dal colore della pelle o dalla razza; anzi le persone di colore sono più belle. Mescolarsi è più bello che stare divisi» (Comunicare speranza n.3) .
Il doposcuola è incoraggiamento, apertura all’universale. I frutti delle semina cominciano a vedersi. Amal, che nel 2012 aveva 16 anni, dice: «Oggi ho deciso di prendere coraggio e di avere la forza di realizzare i miei sogni… Qualche mese fa mi è stata concessa una borsa di studio per un anno all’estero (Argentina). Ho riferito ciò ai miei, che capendo quanto ci tenevo hanno accettato. ..Ed ora mi sto preparando per la partenza e mi sento soddisfatta e contenta di me stessa perché per la prima volta ho avuto il coraggio di insistere e di non cedere ai pensieri degli altri. Ora sento finalmente di essere me stessa, con i miei pensieri, le mie idee, i miei ideali e i miei sogni. Adesso non sono più la cittadina italiana di origini tunisine, ma la cittadina del mondo» (Comunicare Speranza, n.5).

2015_Dicembre-ComunicareSperanza-n°8
2015_Dicembre-ComunicareSperanza-n°8

L’evangelizzazione va avanti a piccoli passi, e sono loro, i ragazzi stessi, ad esserne i messaggeri. Benzarti afferma: «Sono passati milioni di anni e l’uomo non è molto migliorato, anche se ci sono quelli che lottano e credono ancora nella giustizia e nella bellezza della diversità. Secondo la mia esperienza dobbiamo fare tutti un po’ qualcosa per essere fratelli» (Comunicare speranza n.3).
Approfittiamo di tutte le occasioni per festeggiare, ma al Natale cerchiamo di dare maggiore importanza. Hiba, liceale, sa che: «il Natale è una festa cristiana, ma riguarda tutti, musulmani, ebrei, buddisti. Noi islamici, anche se questa festa non fa parte della nostra religione, le diamo grande valore perché parla di pace e quest’ultima è la parola più importante per la nostra religione. In questi ultimi tempi le scene di odio e di guerra stanno superando le scene di pace e di amore… ma la pace dovrebbe essere considerata un valore universalmente riconosciuto….non ci dobbiamo arrendere per averla» (Comunicare Speranza, n.8).

Guardando le foto scattate negli anni si vedono volti di ragazzi ormai cresciuti. Mi colpisce la foto della prima squadra qualificata a uno dei tornei di calcetto. Nessuno di quei ragazzi è più a Mazara del Vallo, anzi no: uno c’è, agli arresti domiciliari. Ha vent’anni, con due figli. Ci invita sempre ad andarlo a visitare. Sa di avere sbagliato, ma è entusiasta della vita e vuole renderla bella per i suoi figli. Altri quattro ragazzi della foto si sono diplomati e ora sono in Francia. Lavorano. Quando tornano d’estate sono sempre seduti sui gradini della Casa della Comunità. Ci hanno fatto disperare quando non studiavano, ma ora sembrano altre persone. Sono diventati responsabili e il seme gettato sembra veramente fiorire. Sono diventati uomini. Era questo che volevamo. Il sesto ragazzo della foto sta avendo difficoltà. Al terzo anno delle superiori ha lasciato. Si droga, però quando gli sembra di toccare il fondo bussa alle porte della Comunità e chiede aiuto. Quando sparisce da casa la mamma ci porta i datteri e dice di andarlo a cercare. E lui torna, docile. C’è ancora speranza!
Lo studio è certamente il pilastro dell’integrazione e l’unico vero trampolino per ottenere le stesse opportunità di successo dei coetanei. Lo studio dà la possibilità di riscattarsi socialmente, anche se il percorso, per molti dei nostri ragazzi della “Casa della Comunità Speranza” – dicono Giovanna e Mariolina – “è una corsa ad ostacoli, fatta di fatica e solitudine”. La sfida è di ridurre la dispersione scolastica, per un futuro di uguaglianza e di pace.

2015_06_14-COMUNICARE SPERANZA-07
2015_06_14-COMUNICARE SPERANZA-07

Ahmet, rom, aveva 23 anni quando ha ripreso a studiare. Scriveva così: «Tutto è cominciato da quando frequento la “comunità speranza”, dove ho avuto l’opportunità di fare l’animatore con i bambini. In questa comunità ho scoperto la speranza di poter essere fratelli, essere socievoli ed integrarsi con persone di altre etnie. Avevo lasciato la scuola due anni fa per tanti motivi e perché mi ero innamorato e pensavo che per il diploma avrei perso degli anni. Ho cominciato dopo a riflettere e mi sono pentito di avere abbandonato la scuola. Ora sono felice, perché studio, riesco a giocare a calcio e soprattutto credo di avere qualcosa in più, cioè la cultura. A 23 anni si va a scuola non perché si sia grandi, ma si va a scuola per essere fieri e per dare esempio ai ragazzi più piccoli». (Comunicare speranza, n.4). Ahmet adesso ha 28 anni ed è l’allenatore del calcetto e istruttore di danze rom tradizionali. Grazie all’Associazione 21 luglio con cui collaboriamo, è divenuto attivista rom, e mette tutto il suo entusiasmo per rendere fieri della loro identità i bambini e giovani rom e coinvolgerli in varie iniziative. Indimenticabile per tutti è stata la danza davanti al Papa nel grande raduno rom mondiale dell’ottobre 2015. Arif: «Pur essendo di religione mussulmana ero così elettrizzato e allo stesso preoccupato di esibirmi di fronte a Lui. I ragazzi erano tutti emozionati. I quattro minuti di esibizione sono passati così velocemente su quel palco enorme e vedere il Papa sorridere di gioia per la nostra coreografia riempiva i nostri cuori di entusiasmo. Spero di vivere altre emozioni così intense con i miei compagni, di fare qualche esperienza simile e magari tornare dal Papa per poterlo abbracciare!»(Comunicare speranza, n.8). L’emozione di Giuska: «Il mio cuore batteva forte. C’era il pubblico che teneva il nostro ritmo con le mani e di sicuro tutti pensavano che noi eravamo fortunati! Questo viaggio mi è servito come ragazza Rom perché mi ha fatto capire che noi valiamo: ogni ragazza o ragazzo sognerebbe di ballare davanti al Papa!».

2015_Dicembre-ComunicareSperanza-n°8
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Giuska, che fa molta fatica a studiare, ha espresso il desiderio di imparare a cucire. Il suo desiderio è stato contagioso, così l’ultimo nato è stato il laboratorio di cucito. Vi partecipano allegramente una ventina di ragazze che anche nel giorno libero dal doposcuola vogliono incontrarsi, dialogare, fare progetti per il futuro. Mentre cuciono Angelita, che è capo scout, ascolta i loro discorsi, le consiglia, le stimola. Poche di loro hanno accettato di fare religione a scuola, ma questo è il momento dello scambio, delle comunicazioni più profonde. Così anche il cucito diviene un momento naturale di evangelizzazione.
Anche sr. Maddalena, è d’accordo che le occasioni di dialogo non mancano: «Il sostegno che diamo per lo studio include spesso di rispondere a domande precise sulle tradizioni religiose che si incontrano nella storia, nelle poesie, nelle letture. Ma ci sono anche molti altri discorsi che interessano soprattutto le ragazze quando incontrano argomenti vitali di cui non parlano in famiglia. L’impegno per lo studio non concede molto tempo per approfondire questi interessi, però sono tutte occasioni che mostrano il loro desiderio di avere risposte e la fiducia che nella “Casa della Comunità Speranza” possono trovarle».
Lo stupore, che apre al ringraziamento.
Con uno sguardo retroattivo in questi anni, mi sembra di poter cogliere con stupore che la Casa della Comunità può considerarsi veramente luogo di accoglienza, in cui le relazioni semplici lasciano spazio alla spontaneità e alla condivisione; un luogo in cui l’attenzione ai più fragili facilita la solidarietà, l’aiuto reciproco e l’accettazione delle persone. La scritta disegnata sul muro, che vuole richiamare l’unità nelle differenze – “Solo l’Amore è capace di creare la comunione dei diversi” – , è sempre stata ed è stimolo continuo e verità che trascina. Il nostro obiettivo di preparare i ragazzi alla vita, sapendo che “prevenire è credere nella forza del bene presente in ogni giovane e creare occasioni per svilupparlo” (Comunicare speranza n.2), si concretizza nella semplicità e nel coraggio di ricominciare ogni giorno.

2015_06_14-COMUNICARE SPERANZA-08
2015_06_14-COMUNICARE SPERANZA-08

La “Casa della Comunità Speranza”, luogo d’incontro all’interno della casbah ma considerata ai margini della città, è chiamata ogni giorno ad accogliere la sfida di trovarsi a fianco di ragazzi non credenti nel Dio rivelato da Gesù, cui però è indispensabile manifestare amicizia, ascolto, fiducia, occasioni di crescita e di rafforzamento della loro identità, spesso ricercata con tanta fatica.
“Tutto quello che avete fatto a uno di questi piccoli l’avete fatto a me” (Mt.25,40). E’ bellissimo pensare che solo l’Amore vissuto conta. Gli operatori e volontari, pur nella diversità della loro esperienza di vita, collaborano strettamente, condividono e verificano gli obiettivi comuni per lo sviluppo dei ragazzi. Per tutti il servizio è missione, è servizio: “Et serviteli cum grande umilitate” (Cantico di S.Francesco).
Elisa e Stefania, dopo due mesi di permanenza in comunità lo affermano: «Parlare della nostra esperienza presso la “Casa della Comunità Speranza” non è facile perché ogni singola giornata è ricca di sensazioni difficili da gestire e da trasmettere a chi non condivide con noi quest’avventura che amiamo definire missione. I nostri pomeriggi sono dedicati al sostegno scolastico rivolto ai ragazzi di età diverse; per questo ognuna di noi deve affrontare difficoltà ed esigenze differenti, ma entrambe siamo accomunate dalle emozioni che ogni singolo ragazzo riesce a trasmetterci. Il nostro compito non si limita solamente a insegnare un metodo di studio, ma è soprattutto ascolto, comprensione e condivisione della loro vita quotidiana e sentire il loro affetto ci arricchisce interiormente, donandoci la carica necessaria per svolgere a pieno il nostro ruolo ricco di passione, dedizione ed empatia» (Comunicare speranza, n.8).

2015_Dicembre-ComunicareSperanza-n°8
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Sr. Elvira racconta il suo sentire la Comunità, con stupore e fantasia. E’ uno stupore che regala speranza: «Vedo il doposcuola come un grande campo di fiori colorati e vivaci e di alberi colmi di frutti acerbi e maturi. Esso è musica assordante e silenzio consolante. E’ vita che nasce, cresce, si sviluppa, si trasforma. L’educatore osserva attento e vigile il campo cangiante, annaffia i fiori e recide l’erbaccia. Trae la sua forza dalla Sapienza dello Spirito, senza la quale il campo dove egli si muove sarebbe arido e senza colori e i frutti amari. Mentre butto giù queste poche righe, chiudo gli occhi e rivedo quei giovani e quegli adolescenti, li vedo, li vedo tutti: hanno appena terminato i compiti e mi domandano se possono restare ancora un po’ al loro posto. Rispondo “sì” con un sorriso e mi fermo ad osservarli: parlano, sghignazzano felici, si scambiano sottovoce i segreti di un Amore ancora sconosciuto e le confidenze di nuove amicizie. Mi domando: “Quelle espressioni algebriche, quegli esercizi di grammatica, quelle letture, quei problemi di geometria, quanto influiranno sulla loro personalità e sul loro futuro”? E’ notte e già dormono tutti. Se l’Amore sta accarezzando i loro sogni, la scuola pure avrà un senso. Quella fatica varrà la pena di essere affrontata. Si sentono felici ed amati; possono già scoprire che le difficoltà si possono vincere. Sogna bambino mio, desidera e costruisci un mondo più bello e più giusto» (Condividere Speranza, n.4).
Gli operatori stessi si incontrano tra loro per riflettere, formarsi, verificare. Due sacerdoti ci accompagnano regolarmente: uno cura più specificamente la formazione nella qualità di educatori, l’altro ci aiuta a pregare attraverso una periodica celebrazione eucaristica. Delle sessioni di formazione alla comunicazione non violenta e alla conoscenza dell’enneagramma ci hanno permesso di migliorare le nostre relazioni tra noi e con i ragazzi.
Dice Miki: «A fine anno arriviamo stanchi e quando il Centro d’estate chiude, ti accorgi che i sentimenti non possono andare in vacanza. In questi anni ho imparato a non dare mai nulla per scontato, a non scoraggiarmi mai davanti a un intoppo, a credere nelle potenzialità nascoste, a contare sull’aiuto degli altri; ho imparato a parlare “il linguaggio giraffa”, anche fuori del Centro, che ho visto nascere, cambiare, crescere, e ho visto i ragazzi maturare progressivamente e io pure con loro. Quando uno dei ragazzi o un loro genitore mi dice “grazie” io sorrido perché in realtà dovrei essere io a ringraziare loro. Essere un volontario non è un passatempo; diventare volontario è un investimento per il proprio benessere».

2015_Dicembre-ComunicareSperanza-n°8
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Come ultima parola ascoltiamo quella di Ismail. «Mi chiamo Ismail, ho 11 anni e sono di origine jugoslava. Ho iniziato a giocare a calcio a 5 nella squadra del Mazara del Vallo Casbah l’anno scorso. L’anno prima c’era mio fratello e io non potevo perché ero troppo piccolo, ma andavo lo stesso a vedere sempre gli allenamenti e le partite. Quando è arrivato il mio turno non ci credevo. In comunità ogni anno c’era la gara per essere scelti. Dipende molto dal comportamento e dallo studio. Sono stato scelto! E’ stato bellissimo. I nostri allenatori, Massimo e Vito, ci hanno preparato al campionato. Tante partite vinte e una soltanto persa. La più importante. La finale. Ricordo come fosse ieri. Dopo i tempi supplementari il risultato della partita era Trapani- Mazara del Vallo Casbah 2-2. Si va ai calci di rigore. L’ultimo a calciare sono stato io. Dentro mi sentivo un fuoco… 1, 2, 3…corro, calcio e….parato! Abbiamo perso! Che disperazione! Una cosa non capivo. I mister erano contenti lo stesso. Io no! …Quel calcio di rigore non mi fermerà, mi impegnerò di più per migliorare e chissà, vincere…!» ( Comunicare Speranza n.8)
E’ l’augurio che estendiamo tutti i bambini: che nessun “calcio di rigore” li fermi nella vita e che trovino sempre degli educatori ad accendere il loro “fuoco” interiore.

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