Messina – «L’approfondimento, la ricerca e la sapiente semplicità, aiutano a non essere banali, a scoprire poesia … anche nel quotidiano»

manifesto-padre-giuseppe-messinaNOTA BLOG – Ecco l’esempio di come il pensiero, l’opera dell’altro, diventino occasione ‘provocazione per rivedere i nostri passi. Partecipare dell’attività intellettuale dell’amico e collega, mettendone in rilievo, i sempre ‘presunti, pregi e/o difetti, consente di permeare l’animo umano di sensazioni e riflessioni inedite e a volte rare. Ci si accorge che nel cammino della vita non occorre avere sempre ragione, ma avere un passo che consenta, guardandosi negli occhi, di dialogare con tutti. Per questo ripropongo la sintesi del prof.re Sergio Foscarino scritta in occasione della

img_0138PRESENTAZIONE DE LA FRUSTA E LA CAREZZA POETICHE DI GIUSEPPE AGNELLO

[…] La provocazione, mi pare, è un atteggiamento di fondo che può facilmente riscontrare nel libro e lo attraversa per intero. Provocare, lo sa bene chi ha un’infarinatura di latino, significa “chiamar fuori”, “far venire allo scoperto”, e vi assicuro che la lettura di questi versi ha propria questa capacità: si tratti di versi spesso scomodi, o scomodanti, che interpellano la coscienza del lettore e ne stimolano una risposta spesso istintiva e immediata, e poco importa se essa è di senso contrario o accondiscendente. Quel che conta è che la provocazione è riuscita. […]

img_0147Metto provvisoriamente da parte l’aspetto della provocazione, per dare a voi il modo di comprendere altri aspetti di questa poesia. Vorrei sottolineare le dimensioni di questo volume. […] Non è una silloge massiccia, questa, solo per il fatto di contenere una produzione poetica che spazia nell’arco di circa una dozzina d’anni, tra il 2002 e il 2015, ma testimonia una declinazione, a me cara, della poesia come compagna del quotidiano, come arte del rovistare nel banale dei giorni qualunque per andare in cerca di un segno, di un gesto, di un sorriso salvifico, anche di uno sberleffo irritante. […] Un segno di grande umiltà, non tanto del poeta, quanto dell’uomo, perché sta attenta ad evitare il rischio di proporci un’immagine che apparirebbe retorica, di profeta veggente, pronto ad acciuffare al volo il passaggio delle divine Occasioni, ma ci restituisce invece il ritratto più autentico di una umanità vigile ma fragile, che si accontenta di scovare il piccolo bottino che basta ad una giornata nelle occasioni reali, terrestri […].

img_0146Poesia d’occasione, quindi, più che poesia dell’Occasione, ma per questo più carica di varietà e di autenticità. “Ci sono le preghiere e i ringraziamenti; – dice l’Autore stesso nella Sua Introduzione – le delusioni e le lotte personali; i ricordi e i sogni, gli inni e le lodi più sincere; le favole e i quadretti satirici. […] compiti in classe fallimentari, feste, matrimoni, viaggi, convegni, guarigioni, nascite, ritiri spirituali, leggi, problemi o questioni di grande attualità […]” (pag. 22). Insomma tutto l’ingombro e tutto il pulviscolo che riempiono lo spazio di una vita, ma che, nella trasposizione spirituale e letteraria dell’Autore, acquistano un senso unitario, perché ricollocati costantemente entro quella cornice teologica che ogni cosa comprende e risignifica alla luce della fede.

Poesia anche marzialesca, la definirei per più ragioni, credo tutte condivise dall’Autore. L’epigrammatista latino Marziale è non a caso citato all’interno del volume e, di certo, il suo spirito, evocato a più riprese, vi aleggia. D’altronde il carattere diaristico, proprio di molta poesia contemporanea – si pensi al celebre caso dei Diari montaliani – trova proprio in Marziale il suo più antico precursore. Dal poeta latino discende plausibilmente il gusto per il formato epigrammatico, per la misura sorvegliata del metro, per la risata composta e protesa sul finale, per alcuni topoi distintivi, […] il gusto a volte per qualche latinismo ironico. A Marziale è debitrice, questa poesia, anche, a mio modesto avviso, per il suo carattere militante, per la sua indefessa azione critica sul reale, che non è solo l’habitus del miles Christi, ma anche di ogni vero classicista.

img_0142-001Come di moltissimi libri di matrice classicistica e cristiana, non si può negare che si tratti, anche in questo caso, di un libro a forte impianto morale. È dichiarato infatti il proposito oraziano di mescolare l’utile al dolce. Si tratta invece di capire, io credo, se il libro incorra o no nel vizio del moralismo e, se no, di quale orditura morale, in particolar modo, sia espressione. Per tentare di dare una risposta al primo quesito, […]si potrebbe valutare se il giudizio morale dell’Autore sia così granitico ed inflessibile da non conoscere eccezioni oppure no: in sostanza, se il pensiero davvero arrivi ad assolutizzarsi fino al punto da essere feroce e disumano o se permetta che le dogmatiche certezze lascino spazio a provvidenziali smagliature del giudizio. Mi sembra che questo avvenga quando il poeta ci consegna il racconto sublimato di un incontro, piuttosto che la lapidea definizione di un’idea. Succede così, per esempio, che, in mezzo a tanta esplicita inclemente diffidenza nei confronti dell’Islamismo, compaiano i volti umanissimi e miti di due allievi islamici del poeta, “due figli di Abramo”, musulmani, sì, ma “privi di violenza”, in cui è possibile scorgere persino la figura dell’Agnello. Succede anche che, in mezzo a tanta esplicita condanna dell’ideologia comunista e rivoluzionaria, ci sia spazio per la salvezza di certi sedicenti “atei” ispirati dall’Ingegno. Succede, fortunatamente, in modo frequente, che il poeta smetta i panni del fustigatore, mollando una presa accanitamente tenace, per incarnare i sentimenti della tenerezza e della consolazione: quando parla alle anime messe alla prova che gli sono familiari, quando canta l’idillica bellezza di uno scorcio di creazione, quando usa felici sequenze litaniche per pregare il Divino. Qui sta, per me, il meglio di questa poesia, insieme a quei gustosi epigrammi satirici che si fanno gioco dei peccatori veniali.

img_0148Il piglio implacabile, invece, quello che contraddistingue le sue battaglie più grandi, sinceramente non mi piace, [..] perché non ne condivido le motivazioni sottese – l’orditura morale cui accennavo poco fa – e mi sembra peccare dello stesso cieco estremismo che si rinfaccia agli integralisti. Personalmente, ho delle confessioni da fare: per quanto possa importare a questo pubblico, sono costretto a parlare apertamente, perché – ricordate? – sono stato provocato, “chiamato allo scoperto”. Io non condivido la guerra in Iraq, non condivido le generalizzazioni sull’Islam, non condivido il fumento di Oriana Fallaci, non condivido le discriminazioni omofobiche e le teorie riparative, non condivido alcuna forma di violenza, sia che provenga da un Black Bloc sia che provenga da un agente delle Forze dell’Ordine. Invece: abbraccio con convinzione il pacifismo non violento, la libertà di unione tra esseri umani che si amano, l’apertura alla vita dai gesuiti fedeli al magistero del Vangelo, la bellezza della poesia sciolta e affrancata dal giogo delle rime. Infine: ho imparato a diffidare del purismo e di ogni forma di esterofobia. […]

Tutto quel che ho detto ho sentito di doverlo dire, perché questo libro che tanto mi ha provocato ha l’immenso pregio di non lasciare indifferenti, ma costringe il lettore ad assumere una posizione, una distanza, che sia minima o massima, rispetto ad ogni suo dettaglio. Dai contenuti, ai toni, alle fogge estetiche. Per chi non conosce la scrittura di Giuseppe, infatti, ancor prima che la dottrina morale che la pervade, un primissimo campo di prova è rappresentato dalle scelte linguistiche, ortografiche, metriche, che sono così sfacciatamente distinte dalla norma contemporanea, non solo prosaica ma anche poetica. L’opzione conservatrice, puristica e classicistica, tuttavia, è in continua contesa con un desiderio, forse non del tutto accettato e riconosciuto, di innovazione, che si esprime per esempio in un disinvolto pastiche lessicale della più eterogenea provenienza. Cultismi e volgarismi, latinismi e forestierismi, convivono in una tendenza diffusa, dal sapore tutto novecentesco, a produrre “scintille” facendo “cozzare l’aulico col prosastico”. È nel lessico, pertanto, che vanno ricercati gli avanzamenti più notevoli e apprezzabili rispetto alla prova delle Prime rime. Qui si esprime l’animo popolare, qui l’Italum acetum, qui il guizzo vitale che scuote la rigida impalcatura delle composizioni isometriche e dei versi instancabilmente rimanti.

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